L’Islam radicale alla conquista della Svizzera

La corsa dell’islam nella Confederazione Svizzera prosegue senza sosta. Centri culturali e moschee aumentano di continuo con l’apertura di nuove strutture costruite senza lesinare negli spazi e dove anche per i materiali non si bada certo a spese. Marmi e tessuti di grande pregio adornano i confortevoli locali dove si predica il Corano. Cosi è stato per la moschea Islamischer Verein di Wil (Canton San Gallo) il cui imam è quel Bekim Alimi che, tra mille polemiche, venne invitato dalle Ferrovie Federali Svizzere all’inaugurazione del primo giugno 2016 di “Alptransit”, la più grande opera ferroviaria del mondo. Alimi sostiene di non essere per un islam estremo ma è molto “sfortunato” negli incontri. Di lui ci sono decine di foto e video che lo ritraggono durante conversazioni e nei viaggi insieme ai peggiori predicatori balcanici. Tra questi c’è Shefqet Krasniqi, più volte arrestato in Kosovo per il sostegno allo Stato Islamico e accusato di aver sfruttato la propria autorità religiosa per aver reclutato centinaia di reclute da inviare nel “Siraq”, oppure il macedone Imbërja Hajrullai, altro imam ferocemente antisemita, l’imam salafita Nicholas Blancho del Consiglio Centrale Islamico Svizzero e molti altri.

I musulmani in Svizzera sono circa 400.000 (circa il 5% della popolazione) e il 12% di loro ha passaporto rossocrociato. Si tratta di una comunità molto frammentata sia dal profilo etnico che da quello linguistico, di cui circa l’80% proviene dai Balcani e dalla Turchia. Globalmente solo il 12-15% dei “musulmani svizzeri” sostiene di essere praticante in modo attivo andando con frequenza in una delle 250 moschee del paese gestite da comunità islamiche attraverso associazioni private e fondazioni. I musulmani giunti in Svizzera negli ultimi decenni si sono quasi sempre ben integrati nella società svizzera, ma i casi recenti di radicalizzazione avvenuti nelle moschee di Winterthur, Ginevra e Basilea dimostrano che occorre monitorare con maggiore attenzione i luoghi di culto e gli imam, specie coloro che passano da un paese all’altro per predicare in arabo o in albanese l’islam wahabita- salafita.

Chi paga tutto questo? Impossibile o quasi saperlo con certezza. Ma se per il cittadino svizzero sfuggire al fisco è quasi impossibile, per le associazioni islamiche invece è piuttosto semplice. Lo si evince chiaramente dalle dichiarazioni dei contributi finanziari che ricevono e che non possono in alcun modo giustificare così tanta opulenza nella costruzione dei nuovi centri di preghiera, le attività frenetiche, i viaggi. La giustificazione è sempre la stessa: ”offerte che arrivano dai fedeli”. Sì, ma quali e di dove?

Altro esempio. La Lega Musulmana Mondiale (Rābiṭa al-ʿālam al-islāmī), ong fondata nel 1962 in Arabia Saudita e gestita da Riad, si vanta di finanziare circa trenta 30 moschee albanesi in Svizzera nelle quali viene predicato l’islam salafita. Solo un ingenuo o qualcuno in malafede potrebbe pensare che tutto questo fiorire di attività islamiche in Svizzera venga svolto alla luce del sole. È molto più plausibile, invece, pensare che arrivino grandi finanziamenti dall’Arabia Saudita, dagli Emirati Arabi Uniti, dal Qatar, dal Kuwait e dalla Turchia, cosa che però ad oggi è impossibile da provare.
Capire il meccanismo finanziario delle realtà islamiche è difficilissimo e non esistono dati a livello federale o anche solo cantonale. D’altronde, per legge la Confederazione non può raccogliere alcuna informazione su di loro. Incredibile, vero? Certo, ma non è la sola anomalia del sistema ultragarantista svizzero.

Nel paese la libertà di associazione, quella di coscienza e di religione sono considerate diritti fondamentali con la logica conseguenza che le associazioni senza fine di lucro non hanno nessun obbligo di iscriversi al registro di commercio e, quindi, di presentare i bilanci o i giustificativi di spesa.

Tutti i tentativi fatti dai parlamentari dei vari schieramenti di mettere mano alla legge sono falliti davanti al muro di gomma posto del Consiglio Federale Svizzero, che risponde sì alle molte interrogazioni parlamentari sul tema, ma in maniera burocratica e senza alcun contenuto di merito. Per questo tutto resta immutato, nonostante il rapporto del Gruppo d’azione finanziaria contro il riciclaggio di denaro (GAFI) abbia bocciato l’attuale situazione nel suo ultimo rapporto, nel quale si legge chiaramente che “le misure di trasparenza adottate nei confronti delle piccole associazioni siano insufficienti”.

Capitolo fondazioni? Qualcosa si è mosso visto che dal primo gennaio 2016 le fondazioni religiose, o quelle di famiglia, devono essere iscritte per legge nel registro di commercio. Considerato che però hanno a disposizione cinque anni di tempo per mettersi in regola, quasi tutte sono rimaste silenti a parte la Fondazione culturale islamica di Ginevra che alla fine del 2014 ha visti esaminati i suoi libri contabili dall’autorità cantonale di vigilanza e dai revisori dei conti. Scopo dei controlli è verificare il flusso di denaro e di determinare se l’utilizzo dei fondi corrisponde a quanto esposto negli statuti dell’organizzazione. Risultato? Non si sa e per legge non può essere rivelato.

Lo stesso dicasi delle polemiche sorte attorno alla più grande moschea Svizzera, quella di “Le Petit-Saconnex”, vicino a Ginevra, costruita con denaro saudita che venne inaugurata nel 1978 dall’ex re saudita Khaled Bin Sultan Abdulaziz. I frequentatori della moschea hanno più volte contestato le modalità “opache” di Ahmed Beyari, direttore della fondazione che la controlla. Questi ha respinto le accuse dichiarando che “la fondazione è indipendente e non è finanziata da denaro saudita”.
In questo contesto l’islam in Svizzera continua a svilupparsi anche nelle forme sempre più radicali. Le influenze più pericolose sono quelle balcaniche, in cui si mischiano pericolosamente i nazionalismi di vario tipo all’islam wahabita-salafita o a quello dei Fratelli Musulmani. Cosi sono nate le moschee “Xhamia E Glarusit”(Glarus-Canton Glarona) “Xhamia Al-Shema” (Canton San Gallo), Xhamia Drita (Emmenbrücke Lucerna), Xhamia Wil ( Wil-Canton San Gallo) Xhamia Mesxhidi Nur (Fraunfeld-Canton Turgovia) e molte altre. Alle inaugurazioni vengono invitate sempre le autorità locali che abboccano all’amo senza alcun dubbio, legittimando così personaggi estremi che andrebbero invece isolati e che non dovrebbero avere piattaforme pubbliche a disposizione. Ma non c’è nulla da fare, chi denuncia questi errori quasi sempre viene tacciato di essere “islamofobo”.

Per la prossima apertura basterà aspettare il 20 maggio 2017 a Plan-les-Ouates (Svizzera Francese), dove verrà inaugurato il nuovissimo luogo di culto dell’associazione islamica “Dituria” (“Il sapere” o “La verità”), frequentata da centinaia di persone che vivono nella regione dei vigneti originarie di Albania, Macedonia e Kosovo. Quanto è costata? Solo il terreno tre milioni di franchi svizzeri (circa 3 milioni di euro), mentre i lavori sarebbero stati svolti gratis da imprese albanesi. Imam designato Rijad Aliu che non parla nessuna lingua nazionale nonostante sia in Svizzera da quasi dieci anni (tantomeno il francese, la lingua locale) e che per questo si accompagna sempre con il presidente del locale centro islamico Serif Biljali, il quale ha ripetuto senza paura di smentita e con notevole sprezzo del ridicolo che “non abbiamo ricevuto soldi provenienti dall’estero, bisogna ringraziare unicamente la generosità dei membri della comunità”. Ma Rijad Aliu non è uno tipo qualsiasi, è il vice presidente dell’Unione degli imam albanesi della Svizzera, organizzazione di circa 30 moschee legate all’Arabia Saudita attraverso il suo presidente macedone Nehat Ismaili.

Anche in questo caso dietro c’è la la Lega Musulmana Mondiale, il cui obiettivo dichiarato quello che tutti i musulmani del mondo abbraccino la dottrina wahabita-salafita. Anche in Svizzera organizzano conferenze dove invitano imam, predicatori e studiosi del Corano, tra i quali il più importante è Yusuf al Qaradawi. Costui teorizza molte cose, ad esempio che “l’uomo ha il diritto di picchiare la moglie” e che se la “donna lo tradisce deve essere uccisa”. Lo stesso Al Qaradawi, infine, ha anche affermato che “l’ideologia islamica conquisterà l’Europa”. Forse non ha nominato la Svizzera perché la considera e non a torto cosa fatta.

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