Resta alto l’allarme per le attività delle organizzazioni salafite in Germania. Lo scorso primo febbraio la polizia tedesca, impiegando di più di mille uomini nella regione dell’Assia, ha fatto irruzione in 54 siti tra appartamenti privati, imprese e moschee collegati a gruppi di islamisti salafiti.Nel mirino degli investigatori c’erano 16 persone, di età compresa tra i 16 e 46 anni, sospettate di essere in vari modi attive in attività terroristiche o di supporto a gruppi islamisti. Tra gli arrestati c’è anche un tunisino di 36 anni che, secondo la Procura di Wiesbaden, faceva parte del commando autore della strage al Museo del Bardo di Tunisi nel 2015. Il tunisino stava preparando un attacco in Germania anche se non aveva ancora scelto un obiettivo preciso, ma pare che il luogo prescelto fosse Berlino.
Mentre Germania e Austria provano a porre rimedio a decenni di sottovalutazione del fenomeno dell’Islam politico radicale, in Svizzera la consapevolezza della pericolosità delle organizzazioni salafite fatica ancora a imporsi. Eppure, i timori nel Paese aumentano e si fanno sempre più numerose le prese di posizione affinché venga vietata la distribuzione del Corano nelle piazze e nelle strade delle grandi città da parte di organizzazioni salafite.
Hans-Jürg Käser, presidente della Conferenza dei direttori dei dipartimenti cantonali di giustizia e polizia (CDDGP), ha recentemente auspicato dalle colonne del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitungche «inizi un dibattito pubblico su un possibile divieto dell’azione di distribuzione del testo sacro islamico» poiché, sostiene, «è stato provato che alcune persone si sono radicalizzate in questo ambiente». Nella lunga intervista Hans-Jürg Käser ha inoltre dichiarato che «è chiaro che non si tratta solo di uomini di fede che distribuiscono il loro libro sacro nei centri delle città. C’è un sistema dietro. Lies! (il movimento che fa riferimento all’organizzazione Die Wahre Religion del predicatore Ibrahim Abou Nagie, ndr) non è un’organizzazione indipendente in Svizzera, bensì viene guidata dalla Germania (dove è stata messa fuori legge, ndr)».
Le dichiarazioni di Käser sono state commentate con favore da Saïda Keller-Messahli, insignito del premio per la difesa dei diritti umani in Svizzera nel 2016, presidente del Forum per un islam progressista e vicepresidente del Centro Studi SPACE di Lugano. «Sostengo quanto proposto da Hans-Jürg Käser, il quale riconosce che dietro a Lies! ci sia tutto un sistema. Dietro alle persone che distribuiscono il Corano vi è una struttura estremamente potente. I punti di distribuzione del movimento Lies! in Svizzera sono solo la punta dell’iceberg. Non ci resta altro da fare che proibirli. Oggi abbiamo un numero di prove sufficienti per sapere che molti di coloro che erano attivi presso questi punti di distribuzione si sono radicalizzati a tal punto da andare in Siria, a combattere per un’organizzazione terroristica».
In merito al trattamento da riservare a elementi accusati di appartenere ad ambienti jihadisti o di ritorno dai teatri di guerra in Medio Oriente e Nord Africa, il Consiglio Federale Svizzero si è finora attenuto a quanto dice la Costituzione svizzera e in una recente nota ha spiegato che «i jihadisti condannati per atti a favore dell’ISIS non vanno espulsi se i loro Paesi di provenienza sono considerati poco sicuri». «La Costituzione svizzera – spiega l’esecutivo – non permette nessun rinvio in uno Stato in cui la persona in questione rischia la tortura o un altro genere di trattamento o punizione crudele o inumano. La medesima garanzia è inoltre sancita dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali».
A seguito di un nuovo atto parlamentare firmato da diversi membri dei partiti UDC (Unione Democratica di Centro), PLR (Partito Liberale Radicale) e PS (Partito Socialista Svizzero), il Consiglio Federale si è detto «pronto a inasprire i controlli delle organizzazioni religiose». Come e quando non è però stato reso noto, ma occorre essere prudenti visto che molto spesso a dichiarazioni muscolari fanno seguito atti ultragarantisti. In precedenza era stato Marco Romano, consigliere nazionale ticinese del PPD (Partito Popolare Democratico), a chiedere la messa al bando delle organizzazioni salafite Lies! e We Love Muhammad, che in Svizzera oggi trovano terreno fertile.
Che il Consiglio Federale Svizzero sul tema dell’Islam radicale proceda in ordine sparso lo prova anche la riposta sul tema data da un altro deputato del Canton Ticino, Fabio Regazzi del Partito Popolare Democratico, il quale ha chiesto «che coloro che si sono macchiati di reati terroristici condannati in Svizzera vengano espulsi verso i paesi di origine anche se considerati non sicuri». Nel motivare la sua mozione, Regazzi ha affermato che «anche altri Stati europei stanno adottando misure di espulsione di rifugiati fiancheggiatori di attività di terrorismo nei rispettivi paesi (nella fattispecie Iraq e Siria, ndr) motivandole con ragioni di sicurezza interna».
Nella riposta a queste mozioni il Dipartimento federale di giustizia e polizia (DFGP) ha reso noto che verrà presentato entro l’anno un progetto di legge su nuove misure preventive di polizia per la lotta al terrorismo. La sensazione, però, è che si prospettano tempi lunghi per chi, invece, ha assunto una posizione netta a favore di un reale contrasto all’islam radicale nella Confederazione Elvetica.