La difficile marcia di avvicinamento alle prossime elezioni politiche tedesche per Angela Merkel e il suo partito CDU (Unione Cristiano-Democratica) si complica ogni giorno che passa. Secondo l’ultimo sondaggio pubblicato dalla tv pubblica tedesca ZDF se si votasse oggi il 49% dei cittadini darebbe il suo voto al socialista Martin Schulz come nuovo cancelliere, mentre solo il 38% sosterebbe ancora la compagine al governo.
Le continue azioni di polizia contro i gruppi islamisti attivi da decenni in Germania non aiutano certo la cancelliera, che sul multiculturalismo e l’accoglienza dei rifugiati e dei migranti ha fatto un tratto distintivo della propria azione politica.
Un nuovo scandalo intanto è esploso negli scorsi giorni in tutto il Paese con l’ennesima “razzia” (“operazione di polizia”) compiuta contro 16 imam turchi, 12 dei quali sono riusciti a fuggire anzitempo in Turchia prima dell’arresto, tutti accusati con pesantissime prove di essere delle spie al servizio del governo turco del presidente Recep Tayyip Erdogan.
Più passano le ore e più si delineano i contorni di questa autentica “spy story” che vede ancora una volta la Türkisch-Islamische Union der Anstalt für Religion (Unione Islamica Turca per gli affari religiosi, in turco Diyanet Isleri Türk İslam Birligi – DITIB) violare le leggi tedesche.
La documentazione raccolta dagli inquirenti tedeschi prova in maniera schiacciante che almeno 16 imam dell’organizzazione turca erano in realtà agenti del Millî İstihbarat Teşkilâtı (MİT, i servizi segreti turchi) e che per anni, dunque ancor prima del tentato colpo di stato contro Erdogan del 15 luglio 2016, hanno spiato e schedato cittadini turchi con doppio passaporto emigrati in Germania. Nei, in molti casi infarciti di informazioni false, centinaia di persone sono state etichettate come sostenitrici del movimento Hizmet, fondato dal predicatore turco Fethullah Gulen, accusato da Erdogan di essere dietro il fallito golpe.
L’ordine da Ankara è scattato lo scorso 20 settembre, quando tutti gli uffici consolari turchi in Germania hanno ricevuto la richiesta di predisporre in tempi rapidissimi dossier sui presunti «nemici del Paese». Scuole, associazioni, centri culturali, studenti, moschee e cittadini comuni sono stati spiati e i dossier redatti sul loro conto sono finiti direttamente nelle mani del Diyanet, istituzione divenuta soprattutto negli ultimi anni completamente asservita al partito di governo AKP (Partito per la Giustizia e lo Sviluppo) di Erdogan.
Secondo le autorità tedesche, sarebbero 150 gli agenti del MIT attivi in Germania dove il compito loro assegnato è ricercare e spiare cittadini turchi che simpatizzano per Gulen e per il PKK curdo (Partito dei Lavoratori del Kurdistan). Una rete capillare di agenti che avrebbe spinto negli ultimi mesi milioni di immigrati turchi a evitare di rientrare in Turchia, anche solo per le vacanze, per il timore di finire in carcere.
Ad oggi sono circa 900 gli imam turchi che operano in Germania. Formati in Turchia, questi imam sono finanziati da Ankara per predicare nelle moschee tedesche poste sotto la tutela delle 15 associazioni regionali che rispondono al Diyanet. Oltre a loro, in Germania operano altre 116 donne che insegnano ad altre donne i precetti del Corano.
La stretta di Ankara sui tentativi di emancipazione e modernizzazione dell’Islam turco in Germania si è mostrata con forza nel dicembre del 2016 soprattutto a Berlino, dove l’intero gruppo dirigente della grande moschea è stato sostituito con rappresentanti dell’Islam rigorista i quali, una volta insediatisi, avrebbero subito messo in guardia i fedeli sulle imminenti festività natalizie da non condividere con gli «infedeli nemici» di Allah. Quindi, nuove regole e dettami su ogni aspetto della vita del “buon fedele musulmano”: sì al velo e no ai pantaloni per le donne; divieto di parlare di omosessualità; consigli sull’opportunità di evitare di fare amicizia con i non musulmani. Un nuovo codice comportamentale in cui è difficile trovare delle differenze rispetto ai concetti espressi dai salafiti.
Eppure i controsensi di questi messaggi, e sul pulpito da cui arrivano, sono più che evidenti. Lo stesso Diyanet anche recentemente è più volte finito nella bufera in Turchia per la spiccata attitudine dei suoi dirigenti di vivere nel lusso. Emblematico il caso del suo leader, Mehmet Gormez, il quale avrebbe acquistato una fiammante Mercedes e si sarebbe fatto ristrutturare casa con tanto di vasca idromassaggio Jacuzzi a spese dello Stato.
Mentre il governo tedesco presto potrebbe decidere di assumere le prime iniziative concrete per rivedere le intese che finora hanno consentito al Dyanet di agire in modo autonomo per l’insegnamento dell’Islam nelle scuole, in Germania fa discutere la lentezza delle autorità tedesche.
I ritardi nelle perquisizioni hanno infatti consentito alla maggior parte degli “imam spioni” di rientrare in patria ed evitare così l’arresto.
Ma non solo, perché secondo indiscrezioni la rete di spionaggio coordinata da Ankara non si fermerebbe solo alla Germania ma sarebbe attiva anche in Austria, Svizzera e in Olanda. Quanto può accadere alla luce di questi fatti tra la Turchia e i Paesi coinvolti è difficile da immaginare, ma di certo si prevedono mesi complicati per il presidente Erdogan sul fronte diplomatico anche con i leader europei. Un problema in più per un Paese già alle prese con la guerra in Siria e l’emergenza del terrorismo interno.