Svizzera: chi finanzia le moschee?

Se è vero che in Svizzera comincia ad aumentare la consapevolezza del pericolo rappresentato dall’Islam radicale, come hanno dimostrato recentemente i divieti posto nel Canton Zurigo alle organizzazioni salafite che regalano il Corano per strada (dawaa street), al contempo non si ferma la conquista di nuovi spazi da parte delle organizzazioni musulmane.
Una ricerca ossessiva quelle delle associazioni e fondazioni islamiche che, forti di importanti risorse finanziarie, comprano e ristrutturano stabili da adibire a moschee e centri culturali dove pregare e fare proselitismo. È stata inaugurata qualche giorno fa a Wil, nel Canton San Gallo, una delle più grandi moschee della Svizzera e non si può certo dire che sia il trionfo del minimalismo. Sotto la grande cupola marmi, arazzi e scritte dorate adornano gli spazi che potranno accogliere i fedeli (solo a San Gallo sono circa 3.000 pari al 14% della popolazione) in due sale di preghiera separate (per le donne 400 posti), dove non mancherà il comfort nei tre piani della struttura con bar e ristorante. Tutto è opera dell’architetto albanese Mujdin Fazlija, che all’interno della cupola ha utilizzato le piastrelle colorate come nelle moschee costruite in Oriente e nei Balcani.
Imam della nuova moschea è quel Bekim Alimi noto alle cronache per essere stato chiamato dalle Ferrovie Federali Svizzere a benedire insieme ad altre personalità religiose il primo giugno del 2016 la più grande opera ferroviaria del mondo, ovvero Alptransit.
Invito che fece storcere il naso a molti esponenti politici e non solo, persino agli stessi musulmani che dichiararono il proprio malcontento per la scelta visto che Alimi è una personalità molto controversa. Il 42enne imam nato in Macedonia (Tetovo), formatosi religiosamente anche in Egitto, benché si descriva come «uomo del dialogo» è spesso al centro di polemiche per le sue frequentazioni e non solo per quella con l’imam salafita svizzero Nicholas Blancho con il quale è stato ritratto più volte.
Vi sono state diverse cerimonie di conversioni all’Islam celebrate in Svizzera (a Bülach nel 2015) in cui Alimi è stato immortalato in compagnia dell’imam di Pristina (Kosovo) Shefqet Krasniqi, più volte accusato e arrestato nel suo paese per «aver sfruttato la propria autorità religiosa e per aver attirato centinaia di reclute da inviare in Siria e Iraq». In altre occasioni è stato visto con il feroce predicatore antisemita macedone Imbërja Hajrullai, che sul proprio account Facebook tempo fapubblicò un’immagine di Adolf Hitler ritratto con una frase in albanese che recita: «Ho lasciato in vita alcuni ebrei, così che possiate capire perché ho ucciso gli altri».

Bekim Alimi, imam della moschea a Wil nel Canton San Gallo

Di fronte a questi personaggi e al potere che hanno in mano, molte domande rimangono ancora senza risposta. Quanto è costata la nuova moschea nel Canton San Gallo, e chi ha pagato tutti i lavori? Bekim Alimi ci tiene a precisare che i 5 milioni di franchi svizzeri (circa 4,5 milioni di euro) arrivano da «oltre 2.000 donatori svizzeri» e che non un solo franco è arrivato dall’estero. Ma davvero il costo del terreno e l’edificazione di una struttura così opulenta può avere un valore così basso? Bastano le stesse dichiarazioni di Alimi per fugare i dubbi su possibili finanziamenti provenienti da paesi e organizzazioni integralisti di ispirazione salafita? Possibile che la nuova moschea di Wil osteggiata da oltre 300 cittadini che presentarono vari ricorsi (tutti respinti) sia stata edificata senza aiuti esterni? Bekim Alimi smentisce sempre i contatti con l’Islam salafita ma credergli è abbastanza difficile visti i fatti documentati.
Ad esempio, nel marzo scorso era presente a un grande evento islamico- albanese a Stoccarda (Germania) e sul manifesto di presentazione dell’evento era ritratto insieme all’imam salafita albanese Mustafa Terniqi. Alla richiesta di giustificarsi su questa frequentazione, ha replicato serafico: «Non so se lui sia salafita».
Stesso discorso vale per un altro luogo di culto islamico e centro culturale che aprirà a breve a Plan-les-Ouates (Ginevra), dove si potranno ritrovare i fedeli della numerosa comunità islamica-albanese “Dituria” (“Il sapere”) che avranno a disposizione due sale di preghiera di 100 e 350 posti per donne e uomini, un ristorante aperto al pubblico con specialità albanesi, sale riunioni, corsi e una biblioteca. La palazzina è stata comprata nel 2014 per 3 milioni di franchi e secondo il tesoriere dell’associazione Abdyl Bekteshi, l’acquisto è stato fatto «con donazioni da membri della comunità e l’altra metà con un prestito ipotecario concluso presso una banca a Ginevra». Quale banca e, soprattutto, chi ha garantito la parte restante della cifra? Mistero. E, ancora, chi ha pagato i lavori di ristrutturazione? Sempre secondo il tesoriere «sono stati fatti da membri volontari della comunità». Difficile credere alle cifre presentate anche se le autorità ginevrine al momento non hanno chiesto conto di quanto dichiarato e si sono dette «felici di accogliere la nuova moschea fatta di persone perfettamente integrate». Integrate? Stride il fatto che l’imam della nuova moschea sarà Rijad Aliu, il quale ancora oggi non parla il francese nonostante sia in Svizzera da quasi dieci anni e per questo si fa accompagnare da Serif Biljali, presidente dell’associazione “Dituria”, della quale fanno parte centinaia di famiglie immigrate nel Paese elvetico che negli ultimi anni hanno riscoperto l’islam e che provengono da Albania, Kosovo e Macedonia.
Altre moschee sono in progettazione in Svizzera per i prossimi anni, molte delle quali saranno finanziate dal “Dyanet” (Ministero del Culto turco) che con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan ha aumentato le proprie attività all’estero. Cosa farà la Svizzera davanti all’avanzata dell’islam radicale nei prossimi anni e al continuo proliferare di nuove moschee?

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