Giovedì 8 giugno il popolo del Regno Unito è chiamato alle urne per il rinnovo dei 650 membri della Camera dei Comuni. La Gran Bretagna arriva a questo importante appuntamento elettorale in un clima di altissima tensione, esasperato dalla strage di Manchester del 22 maggio e dall’ultimo attacco a Londra del 3 giugno. Azioni di brutale violenza rivendicate da ISIS e che di fatto fanno di questo Paese, considerato fino a poche settimane fa uno dei più sicuri d’Europa, il “campo di battaglia” prediletto dagli estremisti islamici di matrice salafita nel Vecchio Continente.
Sono i numeri a testimoniare la portata di questa minaccia per il Regno Unito. Il 22 marzo, due mesi prima dell’attentato di Manchester, era toccato a Londra dove nella zona di Westminster un uomo aveva investito con la propria auto diversi pedoni e accoltellato degli agenti di polizia di fronte al parlamento prima di essere eliminato. Bilancio, 3 morti e 29 feriti. Il 22 maggio è stata la volta di Manchester con un kamikaze che si è fatto esplodere all’esterno della Manchester Arena al termine del concerto della popstar Ariana Grande. Bilancio, 22 morti e 60 feriti. Il 2 giugno, infine, 7 morti – oltre ai tre terroristi uccisi – e 48 feriti nelle ore di terrore vissute tra London Bridge e Borough Market. A ciò si aggiungono almeno altri 5 attentati sventati dall’intelligence britannica da marzo a oggi.
Chi sono gli attentatori di Londra
Come era prevedibile, le indagini degli ultimi giorni sui fatti di Londra hanno fatto risalire a galla una rete di fiancheggiatori che ha supportato i tre attentatori prima che entrassero in azione il 2 giugno. Il 6 giugno è stata diffusa l’identità dei terroristi. Uno di questi è Khuram Butt, di origini pachistane, già schedato dalle forze di sicurezza e conosciuto al grande pubblico per la sua apparizione in un documentario trasmesso da Channel 4 nel 2016 intitolato The Jihadist Next Door. Il documentario descrive le attività di un gruppo di salafiti londinesi filmandoli mentre pregano in un parco con la bandiera dell’ISIS. In quel gruppo c’era anche Khuram Butt. Un anno fa le immagini innescarono l’indignazione generale per qualche giorni, poi però svanirono nel dimenticatoio collettivo.
Nel commando entrato in azione il 3 giugno c’era anche Rachid Redouane, marocchino-libico del quale si sa poco e i cui documenti potrebbero rivelarsi falsi. Il terzo elemento si chiamava invece Youssef Zaghba, italo-marocchino che nel marzo del 2016 era stato fermato all’aeroporto di Bologna – dove vive la madre – mentre cercava di andare in Turchia con un biglietto di sola andata e senza bagagli. «Voglio fare il terrorista», aveva detto durante i controlli ai poliziotti. Da qui il fermo e il sequestro di smartphone e pc nel quale, però, erano stati rintracciati solo indizi generici circa la sua radicalizzazione. L’intelligence italiana aveva comunque redatto un dossier sul soggetto facendolo prontamente pervenire ai servizi inglesi, considerato anche il fatto che nel frattempo Zaghba si era trasferito a Londra dove aveva dei parenti. Dopo la segnalazione inviata dai servizi italiani, del giovane non si è però saputo più niente. L’MI6 (il servizio segreto britannico esterno) dice di non aver mai ricevuto alcun dossier sul suo conto.
Dalle indagini condotte finora un dato interessante è emerso in particolare riguardo Rachid Redouane. Questi abitava nello stesso quartiere di Mohammed Shamsuddin, che insieme ad un altro predicatore di origine pachistana, Abu Haleema, è al vertice di una delle principali organizzazioni salafite londinesi. I due sono di origine pachistana e sono “allievi” di Omar Bakri Muhammad (alias Omar Bakri Fostock), salafita siriano prima attivo con “Hizb ut-Tahrir” (organizzazione internazionale che mira alla creazione di un Califfato globale) poi, tra il 1986 e il 2004, con “Al-Muhajiroun”, formazione all’interno della quale ha conosciuto un altro predicatore noto ai servizi di intelligence europei, Anjem Choudary. Ex avvocato di origini pachistane ed ex fondatore di organizzazioni islamiste anti-occidentali, antisemite e omofobe come “Islam4UK” e “Need4Khilafah”, nonché ispiratore di gruppi salafiti in Francia, Olanda, Belgio e Norvegia, Anjem Choudary è in carcere dal luglio del 2016 dove sconta una condanna a cinque anni e mezzo per la sua attività di sostegno allo Stato Islamico.
Gli errori commessi dal governo britannico
Il premier inglese Theresa May, ex ministro dell’Interno per sei anni quando a capo del governo c’era il suo predecessore David Cameron, nelle ultime settimane è stata accusata dai suoi oppositori di aver tagliato i fondi alle forze di sicurezza e, pertanto, di essere colpevole di quanto sta accadendo oggi nel Regno Unito. Il giorno dopo l’attacco al London Bridge la May ha dichiarato: «Quando è troppo è troppo e quando si tratta di terrorismo ed estremismo, le cose devono cambiare».
A poche ore dal voto, sono molti gli inglesi che ancora si chiedono come il premier intenda «cambiare le cose». Il primo ministro ha parlato dell’introduzione di nuove leggi più restrittive nei confronti dei gruppi islamisti, che in Inghilterra sono cresciuti in maniera esponenziale negli ultimi decenni, mostrandosi in grado di saper conquistare “cuori e menti” in diversi strati della società.
Se ci sono degli interventi su cui occorre intervenire da subito, questi sono il taglio dei sussidi garantiti a centinaia di predicatori inglesi e un generale ripensamento delle politiche di gestione dei flussi migratori, considerato che migliaia di immigrati sono stati abbandonati a se stessi nelle periferie e oggi non sono più controllabili.
Il risultato di questo lassismo è stata, tra le altre cose, la nascita di società parallele in tutto il Regno Unito, come le 89 Sharia Court disseminate in tutto il Paese: si tratta di veri e propri tribunali islamici che giudicano su questioni legate alla poligamia e alle mutilazioni genitali, sul ripudio della moglie (talaq) e sul divieto ai matrimoni misti. La prima di queste Sharia Court è stata inaugurata a Leyton, un sobborgo di Londra, con il nome di “Consiglio della sharia islamica”.
A queste realtà si associano i numeri sempre più in crescita degli estremisti islamici presenti nel Regno Unito. Secondo un recente rapporto dell’intelligence inglese, sono oltre 23mila gli individui vicini agli ambienti jihadisti, 3mila dei quali vengono costantemente monitorati in quanto pronti a entrare in azione. Grave è anche la situazione nelle carceri, dove aumenta il numero dei detenuti radicalizzati grazie a imam di dubbia formazione che hanno garantito un accesso relativamente facile nelle prigioni.
Alla luce di quanto sta emergendo in queste settimane, viene da pensare che se anche solo la metà delle energie profuse dagli schieramenti rivali sul voto per la “Brexit” un anno fa fosse stata virata su questa questione, probabilmente oggi i sudditi di sua Maestà vivrebbero in un Paese molto più sicuro.