Germania: Merkel alle prese con la crescita dell’Islam radicale

In un Paese come la Germania che vive quotidianamente il problema dell’integrazione degli immigrati provenienti in particolar modo dalla Turchia, è un momento di grande attivismo per chi predica il salafismo.
Nonostante le continue polemiche sul ruolo avuto – e che hanno ancora oggi hanno – i Paesi del Golfo Persico – Arabia Saudita in testa – nel finanziamento a gruppi e movimenti radicali islamici, prosegue imperterrita la ricerca di spazi dove costruire moschee, centri di incontro e scuole coraniche.

L’esigenza di spazi, d’altronde, è reale. Basta osservare in queste settimane di Ramadan la calca nelle moschee tedesche, dove ai milioni di musulmani che già risiedono nel Paese da anni si sono sommati altre centinaia di migliaia di credenti accolti in Germania come rifugiati.
Che la situazione sia molto seria lo dicono i numeri diffusi dai servizi segreti federali (BND), secondo i quali dai 3.800 individui attenzionati nel 2011 si è passati a 10.000 nel 2017. Una rete dietro la quale si muovono soprattutto tre Paesi – Arabia Saudita, Kuwait e Qatar – che finanziano senza sosta la diffusione del fondamentalismo islamico in Germania come nel resto del continente europeo.
La ricerca di spazi da adibire a luoghi per pregare e predicare non può che ingolosire proprietari di palazzi e immobiliaristi senza scrupoli, pronti a vendere a peso d’ora qualsiasi cosa in loro possesso. In un clima di tensione come quello vissuto dalla Germania a tre mesi dal voto legislativo, anche nei loro confronti il livello di guardia dei servizi segreti tedeschi è stato elevato.
Lo dimostra l’ultimo caso nella piccola città di Fellbach, 7mila abitanti nel land del Baden-Württemberg, dove la kuwaitiana RIHS (Revival of Islamic Heritage Society, fuorilegge negli USA dal 2008 ) attraverso una società creata ad hoc – la EMC Immobilien GmbH – ha acquistato nel 2014 per un milione di euro un complesso industriale dismesso di 3.300 metri quadrati da riconvertire a centro islamico.
Chi era l’amministratore delegato della misteriosa EMC? Il cittadino del Kuwait Safwat T., imam della moschea Sunnah di Sindelfingen (situata sempre nel land di Baden-Württemberg), riconosciuta da anni dal Ministero degli Interni tedesco come crocevia di estremisti islamici.

Safwat T. è sotto accusa per aver fornito «attrezzature militari» a gruppi salafiti siriani. Il municipio di Fellbach, resosi conto della situazione, ha bloccato il progetto di riconversione dell’area che nei desideri degli islamisti tedeschi doveva diventare un centro di eccellenza della predicazione salafita.
Quante sono le storie come quella di Fellbach? Tante. I servizi segreti federali hanno smentito quanto scritto in un articolo pubblicato sul giornale libanese Al-Diyar (quotidiano nell’orbita degli sciiti Hezbollah) che racconta di un piano saudita finalizzato alla costruzione di 200 moschee salafite in Germania.

Nel land di Baden-Württemberg, in particolare, il proselitismo islamista è presente fin dal 2004. In questa regione sono presenti almeno 600 salafiti, 120 dei quali considerati violenti. È accertato che 50 di loro siano stati in Siria e in Iraq. «Queste persone ritengono che il salafismo sia un disegno divino di salvezza per tutta l’umanità e che deve essere mostrato anche con la forza se necessario». Cosi li descrive il portavoce della SWR, l’Ufficio per la Protezione Costituzionale del Baden-Württemberg, Georg Spielberg.

Gli estremisti islamici in Europa

Le dimensioni del fenomeno salafita e i ripetuti attacchi terroristici in Europa impongono una riflessione su quale pericolo corrano le democrazie del Vecchio Continente. Dai rapporti più recenti diffusi dalle forze di polizia di Inghilterra, Francia, Belgio e Germania, si può constatare che sono 66.000 gli individui considerati “pericolosi” e non è un caso se i proprio questi quattro Paesi siano il bersaglio preferito dagli islamisti.
Per comprendere meglio la reale portata di questa emergenza è necessario però fare un ulteriore passo in avanti. Come sono distribuite geograficamente queste presenze? Si va dai già citati 10mila estremisti in Germania ai 15mila della Francia (dove però si crede che la quota raggiunga le 20mila unità), ai circa 18.900 del Belgio fino ai 23mila del Regno Unito.
In questo drammatico viaggio tra i numeri dell’estremismo jihadista, vanno citati anche altri Paesi come l’Olanda, la Svezia, la Danimarca, la Spagna, la Finlandia, la Svizzera, la Norvegia e la stessa Italia. Nel complesso, questi Stati hanno “esportato” in Siria e Iraq migliaia di combattenti stranieri pronti a immolarsi per Allah ed è verosimile che diverse centinaia di questi siano poi rientrati in patria.

L’emergenza nei Balcani

Per questo motivo, dai 66mila individui pericolosi censiti da Inghilterra, Francia, Belgio e Germania si passa a oltre 100mila unità. Il conteggio resta però ancora parziale, poiché a queste cifre occorrere aggiungere quelle relative ai Balcani, dunque la Bosnia Herzegovina, il Kosovo, l’Albania, il Sangiaccato in Serbia e la Macedonia.
Si tratta di un’area in fermento in cui estremismo religioso e nazionalismo si fondono in una miscela esplosiva che potrebbe manifestarsi nel resto d’Europa in qualsiasi momento. Pronti all’azione sono migliaia di individui che però, è bene non dimenticarlo, non potrebbero fare dell’estremismo religioso islamico una ragione di vita senza sostentamento economico. Come sarebbe possibile per loro mantenere famiglie numerose, organizzare manifestazioni, viaggi e far stampare milioni di copie del Corano senza il decisivo apporto di quelle sospette organizzazioni di Arabia Saudita, Qatar e Kuwait che proprio nei Balcani, dopo le guerre terminate a fine anni Novanta, hanno investito miliardi dollari con risultati nefasti che oggi sono sotto gli occhi di tutti?
Occorre fermare questo mare di petroldollari che sta invadendo l’Europa. Solo così si potrà impedire l’insorgere di due possibili scenari. Uno è quello “balcanico”, con centinaia di moschee sparse in tutto il territorio europeo. L’altro, successivo anche se ancora oggi obiettivamente lontano, è quello “afghano”, con l’insorgere di crescenti tensioni regionali di carattere etnico-religioso.

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