Salafiti in Svizzera: tra nuove leggi e “cattivi maestri”

Dopo molte incertezze e il deposito di decine di atti parlamentari sul contrasto al terrorismo di matrice islamista, sul ruolo degli imam e sul finanziamento dei gruppi estremisti, il Consiglio Federale Svizzero è adesso pronto a un ulteriore passo in avanti. L’obiettivo è inasprire il Codice penale svizzero, in quanto «occorre agire in maniera più efficace contro il terrorismo, aumentando per esempio le pene, tutelando al contempo i principi liberali della Svizzera».
Se il progetto dovesse concretizzarsi al termine dell’iter parlamentare, le modifiche verrebbero integrate nel Codice penale e, in particolare, nella legge federale del 12 dicembre 2014 che vieta la presenza in territorio svizzero dei gruppi Al Qaeda e Stato Islamico cosi come delle organizzazioni associate (nuovo art. 260 sexies CP). Questo passaggio consentirebbe «di punire anche il reclutamento, l’addestramento e i viaggi all’estero a fini terroristici sia per tutti i gruppi terroristici che per gli autori che agiscono da soli».
Nell’articolato progetto il Consiglio federale propone anche di sviluppare la cooperazione internazionale nell’ambito dell’assistenza giudiziaria e della lotta al finanziamento del terrorismo. Entro quest’anno verranno portate avanti le consultazioni anche per altri due progetti finalizzati al contrasto del terrorismo: uno è «sulle misure preventive adottabili dalla polizia contro potenziali criminali al di fuori di un procedimento penale»; l’altro è il Piano d’azione nazionale (PNA) contro la radicalizzazione e l’estremismo violento, ancora però in fase di allestimento .

Foreign fighters i numeri in Svizzera

Il SIC (Servizio delle attività informative della Confederazione) continua ad aggiornare le cifre che riguardano coloro che dalla Svizzera sono partiti per andare a combattere in Medio Oriente, Asia e Africa a sostegno dei gruppi jihadisti: 58 sono partiti per Siria e Iraq, 1 per Afghanistan e Pakistan, 6 per la martoriata Somalia in cui opera Al Shabaab. A costoro si aggiungono altri 23 casi, su cui mancano però conferme definitive: 16 sono partiti per il Medio Oriente e l’Asia, 7 per la Somalia.
Di questi questi 88 foreign fighters, 30 sono in possesso della cittadinanza svizzera, 18 dei quali con doppia nazionalità. Il SIC stima che i morti sarebbero 23, anche se la conferma del decesso è arrivata solo per 16 di loro. Dei 14 ritornati in patria, solo 11 vengono monitorati, degli altri invece non si hanno tracce.

Gli ultimi arresti

In attesa delle modifiche alle leggi sul contrasto al terrorismo, proseguono le attività della polizia svizzera. Il 24 giugno a Aubonne, nel Canton Vaud, un uomo e una donna sono stati arrestati nel parcheggio di un grande centro commerciale al termine di un’operazione antiterrorismo. Prima di loro, la sera precedente, un altro uomo era stato fermato. Per i due arrestati del 24 giugno sono stati accertati legami con Al Qaeda e Stato Islamico. Ad aggravare il quadro della vicenda c’è la dichiarazione del procuratore generale del Canton Vaud Eric Cottier, il quale ha parlato degli arrestati come di «persone pronte a passare all’azione i tempi brevi».

Se sul fronte giudiziario la Svizzera segna dunque un punto a suo favore, ancora una volta un segnale contradittorio arriva invece dalle istituzioni politiche cittadine. Il municipio di Zurigo nonostante il parere negativo del proprio governo cantonale, ha deciso in un primo tempo di autorizzare la distribuzione gratuita del Corano della controversa organizzazione “Lies!” (“Leggi!”) guidata dal predicatore salafita Ibrahim Abou Nagie e da tempo messa fuorilegge in Germania e in Austria perché contigua alle organizzazioni terroristiche. Nel giustificare il permesso concesso, il responsabile della sicurezza di Zurigo Richard Wolff ha detto che «un divieto avrebbe finito col limitare i diritti fondamentali di queste persone. Dobbiamo st
are attenti e difendere i diritti fondamentali, non emettere divieti senza una base legale».
Dopo le inevitabili polemiche, e la prospettiva quasi certo di intervento delle autorità di polizia alla manifestazione, la decisione è stata revocata. Resta però lo sconcerto dell’opinione pubblica per la gestione della vicenda anche alla luce delle ultime dichiarazioni del predicatore svizzero convertito all’Islam Nicholas Blancho (foto in apertura), capo dell’organizzazione salafita CCIS (Consiglio Centrale Islamico Svizzero). In un video pubblicato sull’account Facebook del CCIS in cui festeggiava la fine del Ramadan, Blancho ha voluto ricordare quando nel 2010, nel corso di una nota trasmissione televisiva, si era rifiutato di distanziarsi dalla terribile pratica della lapidazione delle donne.
Ebbene, a sette anni di distanza dalla messa in onda di quella trasmissione, in un’intervista rilasciata al giornale svizzero 20 minuti Blancho si è detto per nulla pentito della sua presa di posizione. La sua è l’ennesima provocazione nei confronti di un Paese che fatica a contrastare la diffusione della pericolosa dottrina salafita.

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