L’azione contro i soldati dell’operazione “Sentinelle” a Parigi conferma un trend che il nuovo presidente Macron sta avendo difficoltà a invertire. L’invito alla “resistenza individuale” di Al-Adnani e Al-Suri continua a riecheggiare.
Torna il terrore in Francia dopo che la mattina del 9 agosto un gruppo di militari, impegnati nell’operazione antiterrorismo “Sentinelle”, è stato travolto da una macchina a Levallois-Perret, nel dipartimento di Hauts-de-Seine a nord-ovest di Parigi. È la sesta volta, in quasi due anni, che i militari di “Sentinelle” vengono attaccati da attentatori che agiscono da lone wolves (lupi solitari) o con il sostegno di reti di fiancheggiatori.
Il bilancio dell’azione del 9 agosto è di sei militari feriti, due dei quali in gravi condizioni. Il gruppo era appena uscito da una caserma del quartiere, quando è stato travolto da una BMW nera guidata da Hammou B., algerino di 37 anni, fermato sull’autostrada A16 tra Boulogne-sur-mer e Calais. Ferito in uno scontro a fuoco con la polizia, ora è ricoverato anch’egli in gravi condizioni. È ancora da chiarire completamente la dinamica e la presenza di eventuali complici, ma quello è certo è che l’atto compiuto dall’uomo è volontario.
Il messaggio di Al-Adnani
Il ricorso a mezzi di trasporto per commettere attentati è ormai un metodo tristemente consolidato in tutto il mondo. Inevitabile andare con la memoria alle parole di Abu Mohammed Al-Adnani, portavoce dello Stato Islamico che il 21 maggio 2016, due mesi prima di essere ucciso, dette il via libera alla lunga scia di sanguinosi attentati durante quel Ramadan e nei mesi successivi.«Investiteli con l’auto, spaccategli la testa con una pietra, squartateli con un coltello, o corretegli sopra con la vostra auto. Usate i camion come delle falciatrici, non per tagliare l’erba ma per falciare i nemici di Allah».
Al Adnani non è rimasto inascoltato viste le centinaia di morti e feriti vittime dei combattenti del Califfato i quali, agendo singolarmente o molto più spesso con l’appoggio di complici, hanno insanguinato l’Europa da allora.
L’attacco più violento per numero di vittime è quello registratosi sempre in Francia il 14 luglio del 2016, la sera della festa nazionale, quando un camion si lanciò a folle velocità contro la gente che stava assistendo ai fuochi d’artificio. Sul lungomare Promenade des Anglais Mohamed Lahouaiej-Bouhlel, 31 anni, tunisino residente da anni a Nizza, uccise 86 persone ferendone altre 400.
I problemi di Macron
Dal 2015 la Francia è costantemente colpita da attacchi terroristici di matrice jihadista che hanno provocato in totale 239 morti e centinaia di feriti. L’attacco ai militari a Levallois-Perret arriva qualche giorno dopo le dichiarazioni del ministro dell’Interno Gérard Collomb il quale, dopo aver ricordato che il Paese sta provando a uscire con fatica dallo stato di emergenza tutt’ora in vigore, ha dichiarato che sono 217 i jihadisti francesi maggiorenni rientrati in Francia ai quali vanno aggiunti 54 minori. Sono tutti rientrati dal “Siraq” (Siria e Iraq) dove lo Stato Islamico, pur essendo ormai alle corde, si difende strenuamente.
Per il presidente francese Emmanuel Macron, alle prese con un calo di gradimento nei sondaggi, impedire nuovi attacchi da parte dei foreign fighters di ritorno appare una sfida sempre più difficile da vincere nonostante i 10.000 militari dispiegati nelle strade e nelle piazze di tutta la Francia. La sensazione è che lo scontro che si sta consumando tra l’Eliseo e lo Stato Maggiore dell’Esercito, dovuto secondo diversi analisti francesi ai metodi spicci da manager d’azienda di Macron, avrà ancora a lungo delle conseguenze nefaste sulla sicurezza del Paese. E il fatto che i militari siano uno dei bersagli privilegiati dagli affiliati al Califfato contribuisce ulteriormente a complicare la situazione.
L’ombra di Al-Suri
Più passa il tempo e più si staglia sullo sfondo della stagione del terrore del Califfato una delle figure più importanti del jihad globale, Mustafa Setmariam Nasar, alias Abu Musab Al-Suri.
Classe 1985, nato in Siria ad Aleppo, cittadino spagnolo grazie a un matrimonio di comodo, ha vissuto a Londra dove dirigeva cellule jihadiste operative in tutt’Europa. È lui nel 2004 a firmare il manifesto politico del jihad intitolato Appello alla resistenza islamica mondiale, 1.600 pagine in cui Al-Suri fornisce indicazioni su come diffondere il Jihad individualmente (Nizam al Tanzim) attraverso «cellule piccole», completamente separate per «condurre la resistenza». Già allora Al-Suri si rivolgeva ai “lupi solitari”, dimostratasi capaci a distanza di anni di seminare il terrore ovunque e di tenere in ostaggio l’Occidente.
La teoria dei lupi solitari professata da Al-Suri lo porta a interrompere i legami con Al Qaeda, organizzazione madre della quale non condivideva più le azioni spettacolari come gli attacchi alle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001.
Quella di Al-Suri è indubbiamente una vita avventurosa. Dopo essere stato sottovalutato per anni dalle agenzie di intelligence, nell’ottobre del 2005 viene catturato dagli uomini dell’ISI (l’Agenzia di intelligence pakistana, ndr) a Quetta, nel Baluchistan, e consegnato alla CIA. Al-Suri viene incarcerato prima in una prigione della CIA a Diego Garcia e poi a Guantanamo. Nel 2007, nell’ambito di uno dei molti “patti con diavolo” la CIA lo consegna ai servizi siriani dai quali era ricercato per la sua appartenza a un gruppo contiguo alla Fratellanza Musulmana. Nel 2011 scoppia la rivolta in Siria, il presidente Bashar Al Assad lo libera ben sapendo che “Il Siriano” (uno dei soprannomi di Al-Suri, ndr) la farà deragliare. Cosa che puntualmente fa.
Al-Suri muore nel 2014 ad Aleppo per mano dello Stato Islamico in un attentato suicida mentre combatteva al fianco dei miliziani del gruppo Harakat Ahrar al-Sham al-Islamiyya. Adesso riposa nell’”olimpo del Jihad” insieme a Osama Bin Laden e a molti altri leader jihadisti. Ma il suo lascito è ancora tangibile, come dimostra l’ultimo episodio di Parigi.