Dopo decenni di torpore e di sottovalutazione del pericolo che l’islam radicale rappresenta per la sicurezza nazionale del Belgio, le istituzioni hanno deciso di “assumersi le proprie responsabilità nella lotta contro il salafismo”. Il “Segretario di Stato per l’asilo e la migrazione” Théo Francken ha usato parole forti nel comunicare qualche giorno fa la decisione di ritirare il permesso di soggiorno dell’imam della “ Grande Moschea di Bruxelles”, l’egiziano Abdelhadi Sewif (nella foto sopra) . Il “Pavillon du Cinquantenaire” dato in affitto per 99 anni divenne moschea nel 1978 dopo un’importante ristrutturazione costata decine di milioni di dollari pagati dalla famiglia reale dell’Arabia Saudita. All’inaugurazione in prima fila presenziarono il sovrano saudita dell’epoca Khaled Abdulaziz Al Saud e il pio monarca Re Baldovino detto anche il “re triste” per l’espressione perennemente contrita e pentita che già nel 1975 aveva sostenuto l’inserimento della religione islamica nelle scuole. Misura anticipata nel 1974 dove vi fu il riconoscimento ufficiale dello stato all’islam. A distanza di anni è stato svelato che tutto questo interesse per i musulmani e la loro religione era motivato da mere questioni economiche e di convenienza. Il patto scellerato potrebbe essere riassunto più o meno così: “Tu dai il via libera all’islam in Belgio e io in cambio ti do il petrolio al prezzo migliore ma soprattutto te lo do sempre. Fatto non secondario visto che nel 1974 vi fu la grave crisi petrolifera e il conseguente austerity. Da quel momento l’influenza dell’Arabia Saudita in Belgio non ha più avuto freni e i musulmani di prima e quelli delle generazioni successive, trovarono nei sauditi i loro benefattori che costruirono per loro che lavoravano nelle miniere e nell’industrie un tempo floride, moschee e centri culturali dove pregare e ritrovare l’identità religiosa. Cosi’ il Belgio è diventato il “Belgistan” che ha visto la nascita di autentiche società parallele autoreferenti nel paese. Interi quartieri come Molembeek e decine di altri sono si sono trasformati in “Mini califfati” dove è la sharia che regola il battito cardiaco della comunità. Quartieri dove pianificare attacchi in Europa, a Parigi ( Teatro Bataclan 13 novembre 2015 ) quelli di Bruxelles (22 marzo 2016) o reclutare giovani da mandare a fare la jihad in Medio Oriente. Gli sceicchi sauditi hanno pensato anche alle seconde e terze generazioni di mussulmani belgi e sempre con denaro, ovvero pagando gli studi dei giovani musulmani disposti ad andare alla Mecca o a Medina per apprendere “l’islam puro dei pii antenati”. Stesso i sauditi hanno fatto nel Balcani dopo la guerra fratricida del 1991-1995 e stessi brillanti risultati in termini di resa dell’investimento visto che quelle terre sono oramai colonizzate dall’islam saudita. L’operazione fa si che a Bruxelles il 95% dei corsi sull’islam vengono tenuti da predicatori formatisi in Arabia Saudita ma non è tutto, dalla culla del wahabismo arrivano di continuo predicatori itineranti che tengono i loro incendiari sermoni in arabo classico e che hanno come unico obbiettivo quello di forgiare le menti delle nuove generazioni deluse dalla crisi economica. Ed è in questo contesto di progressiva marginalizzazione nella società dei giovani musulmani che sono nati gruppi che inneggiavano al jihad armato già nel 2012 come “Sharia4Belgium” del predicatore salafita Foad Belkacem oggi in carcere (condannato a 12 anni di carcere nel 2015) che all’epoca si avvalse di convertiti come Jejoen Bontinck o Michael Delefortrie per chiedere l’applicazione della “sharia” in Belgio.
Belkacem ( a destra nella foto sopra) riusci’ a costruirsi un nutrito gruppo di fedelissimi tanto che riusci’ a convincere decine di giovani a diventare “soldati di Allah” in Siria e in Iraq. Negli anni il Belgio ha giocato con il fuoco, esercizio pericoloso che ha avuto nefaste conseguenze vedi i quasi 500 “ foreign fighters” partiti per i teatri di guerra senza contare la “jihad “combattuta in casa . A tal proposito la memoria torna al 22 marzo 2016 con le esplosioni all’aeroporto “Zaventem” e una alla stazione della metro di Maalbeek: bilancio 32 morti e oltre 300 feriti. Per tornare all’imam di Bruxelles oggetto del provvedimento di espulsione, invece di rivolgersi a qualche corte della sharia ha scelto la strada del ricorso legale. Théo Francken nell’annunciare l’espulsione dell’imam della Grande Moschea di Bruxelles lo ha descritto come “un salafita, molto radicale, molto conservatore e pericoloso per la nostra società e per la nostra sicurezza nazionale”. Dopo aver compreso non senza traumi dei gravissimi errori del passato, il Belgio tenta di reagire anche con le espulsioni degli elementi più pericolosi presenti sul territorio. Sono aumentati i controlli di polizia sul territorio e l’intelligence dopo anni di autentico disarmo si sta con fatica ricostituendo. La strada da percorrere è lunga e complessa ma anche il fatto di cominciare ad interrogarsi sulla provenienza dei soldi che inondano l’islam belga fa ben sperare. Ancora una volta il grande assente è l’islam, sia il vice imam della “Grande Moschea di Bruxelles”, Galaye Mohamed N’Diaye sia Jamal Saleh Momenah, direttore del “Centro islamico e culturale del Belgio” (CICB), hanno sempre affermato che non sapevano nulla delle attività di proselitismo dell’imam egiziano e dei suoi incontri con diverse persone passate attraverso la Grande Moschea partiti poi per il “Siraq”. Amnesie, reticenze e vere e proprie menzogne unite quella costante dissimulazione dei fatti che mostrano quanta ripida è la strada iniziata in Belgio. Sperando che non ci sia altro sangue di innocenti da versare.