Il 29enne uzbeko Sayfullo Habibullaevic Saipov autore della strage di New York (bilancio 8 morti e 15 feriti) dopo essere stato ferito da un agente di polizia ed operato all’addome è piantonato in ospedale dove viene definito dalle autorità “calmo e abbastanza collaborativo”. Mi chi è davvero Sayfullo Saipov? In queste ore le agenzie di sicurezza americane e i media sono alla caccia di informazioni su di lui del quale si sa poco. Gli elementi certi ad oggi sono che pochi ad esempio che Saipov è arrivato negli Usa nel 2010 dopo aver vinto ad un concorso una “green card” che lo ha autorizzato a vivere e lavorare negli Usa. Poi che è sposato e ha tre figli avuti da una connazionale e che dopo un periodo passato in Florida dove ha fatto la patente per guidare anche i camion si è traferito a Paterson città nel New Jersey dove vivono 150 mila abitanti in prevalenza immigrati e dove i musulmani sono un quinto della popolazione.
Sayfullo Habibullaevic Saipov (nella foto sopra) non aveva profili “social” e a parte la lettera trovata sul furgone nel quale scrive di essere affiliato all’Isis, a casa e nel suo computer non è stato trovato nulla che possa provare la sua appartenenza a gruppi terroristic. Saranno le indagini e magari le sue parole a spiegare se si tratta di un “lupo solitario” e perché abbia agito uccidendo degli innocenti al grido di “Allah u Akbar”. Negli Usa c’è commozione e sconcerto per la strage di Halloween ma l’opinione pubblica si pone anche alcune domande? Costui ha goduto di qualche supporto lnel vastissimo mondo dell’estremismo islamico americano? Era proprio necessario farlo entrare nel paese dopo averlo visto con la barba incolta degli estremisti islamici? Davvero non si poteva fermare l’iter? Quanti sono gli estremisti islamici arrivati dalle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale che fabbricano a getto continuo” soldati di Allah”? Parliamo di un vivaio enorme dove le organizzazioni terroristiche islamiche attingono in massa, tanto per fare un esempio venivano da queste zone gli assassini che hanno colpito a Istanbul, San Pietroburgo e Stoccolma e chi pensa che siano realtà troppo distanti da noi commette una grave ingenuità. Sono decine di migliaia i “mujaheddin” partiti dall’Asia Centrale per andare a soccorrere i “fratelli” nelle guerre in Afghanistan e nei Balcani (dove in molti sono rimasti e si sono costruiti intere comunità islamiche ad esempio in Bosnia), in Algeria, Iraq ed infine in Siria. Combattenti instancabili e feroci abituati alla guerra in condizioni estreme anche contro eserciti organizzati ad esempio quello russo in Cecenia. Proprio da qui veniva Tarkhan Tayumurazovich Batirashvili- Abu Omar Al Shishani leader militare dell’Isis fino a quando un drone Usa nel luglio del 2016 lo ha incenerito. Per tornare all’Asia Centrale in Uzbekistan l’estremismo islamico ha due facce; Il Movimento Islamico dell’Uzbekistan (IMU) per parecchio tempo alleato dei talebani afgani passato poi con l’Isis e quelli di Hizb ut-Tahrir al Islam (Liberazione dell’Islam), che sostiene a parole di essere contro la violenza anche se vuole restaurare il Califfato e imporre la sharia..Fino al 2004 a Tashkent capitale dell’Uzbekistan la situazione è stata gestita con il sistema del “bastone e della carota” subendo attacchi contro militari e polizia. Tutto è finito con i due attentati kamikaze alle ambasciate Usa e Israele del 30 luglio 2004 che hanno rappresentato un punto di svolta del jihad uzbeko. Con la nascita dello Stato islamico e la successiva disgregazione, tutto il mondo ha rivolto lo sguardo verso il terrorismo islamico di matrice medio-orientale commettendo l’ennesimo errore nel non prestare attenzione ai feroci combattenti islamici dell’Asia Centrale. Così hanno potuto crescere di numero e forza grazie ai soliti opachi finanziamenti provenienti da paesi del Golfo Persico, quattrini investiti in addestramento e armi che insieme gli esplosivi sanno usare benissimo.
Così il mondo è pieno anche di estremisti islamici che arrivano dal Kirghizistan, Tagikistan dall’Uzbekistan, dal Dagestan, Inguscezia e dal KBK (Kabarda, Balkaria e Karachay) dove ha sede l’autoproclamato stato virtuale ( ma non troppo) “dell’Emirato del Caucaso”. Gli unici che li conoscono come le loro tasche per averli combattuti senza andare troppo per il sottile, sono i russi di Vladimir Putin che da anni ne denuncia seppur inascoltato, la pericolosità. Con l’attentato di New York e con gli Stati Uniti in pieno “Russiagate”, si ripropone il tema della collaborazione tra i due giganti globali in materia di terrorismo. Per la sicurezza degli Usa e quella dell’Europa c’è da sperare che qualcuno dei due alzi il telefono prima che sia davvero troppo tardi.