
Lo aveva promesso in campagna elettorale e alla fine lo ha fatto. Donald Trump ha deciso di riconoscere Gerusalemme come capitale dello Stato di Israele cosa peraltro mai richiesta dal governo Netanyahu.
In tutta questa improvvisazione e frenesia si nota l’emarginazione crescente del segretario di Stato Rex Tillerson che potrebbe essere sostituito a breve da Mike Pompeo (CIA), fatto che testimonia come Donald Trump ormai si muova sullo scacchiere internazionale senza una strategia di ampio respiro. A Mosca lo sanno bene infatti, Vladimir Putin approfittando degli errori dell’improbabile collega americano, sta aumentando esponenzialmente il suo peso politico nell’intera area medio orientale ad esempio in Egitto storico alleato degli Stati Uniti. Donald Trump consigliato dallo stratega-genero Jared Kushner uno che pensa che «l’accordo fra Israele e palestinesi è qualcosa che qualcuno abituato a negoziare come noi immobiliaristi potrebbe chiudere rapidamente» aveva puntato tutto sul principe ereditario saudita, Mohammed Bin Salman che pur di avere il sostegno americano contro gli odiati sciiti di Teheran ha messo in congelatore il supporto alla questione palestinese (nota comunque positiva). Il sultano del Bosforo Recep Tayyip Erdogan anche se non vende case, la sa più lunga di Trump e di suo genero e sentita l’aria favorevole, ha spinto in un angolo il giovane principe saudita mettendosi alla testa della rivolta sunnita minacciando sfracelli contro Israele e contro la decisione USA. La Turchia è da tempo rifugio di molti capi militari di Hamas tanto che a Gerusalemme Est sono attive diverse «oblique» ONG turche come ad esempio «Insani Yard?m Vakf?» (IHH) piu’ volte accusata di trasportare armi in Siria e che con la scusa di aiutare la popolazione civile palestinese, sostiene politicamente e militarmente diversi movimenti estremisti. Appare evidente come le motivazioni che spingono Donald Trump ad alzare di continuo il livello della tensione siano di carattere interno.
Il presidente e il suo clan familiare in particolare il genero Jared Kushner, hanno la necessità di distogliere l’attenzione dal «Russiagate» viste le confessioni e le incriminazioni degli ex collaboratori del presidente quali Michael Flynn che collabora con il procuratore speciale Robert Mueller, Paul Manafort, Rick Gates, George Papadopolous. Ecco allora le fughe in avanti specie all’estero del presidente Trump, in modo da aprire nuovi fronti al quale i media e la politica internazionale, si possano buttare a capofitto. Nell’ultima decisione del presidente americano c’è anche il tentativo di darsi una legittimazione internazionale ad oggi mai arrivata, ma anche appagare il suo narcisismo patologico: «Io mantengo le promesse e farò quello che i Presidenti prima di me non hanno fatto, fingendo che il voto del Congresso del 1995 sulla capitale di Israele non esistesse. Io sono diverso e migliore di tutti». Ancora una volta Donald Trump dimostra che è il presidente più ignorante che sia mai stato eletto, un uomo che non conosce la storia del suo Paese del quale non ha studiato le fasi storiche e i suoi drammi ma non solo, non conosce la storia del mondo che lo circonda e ancor peggio è che probabilmente, nemmeno lo interessa.
Per lui il globo si ferma alla «Trump Tower» e al suo ristretto clan dove le competenze per vendere un palazzo abbondano, ma che sulle quelle richieste per occuparsi di problemi geostrategici è lecito avere dei dubbi. Donald Trump è comunque un uomo senza memoria, un presidente che non sa perché probabilmente non lo ha mai letto, che qualsiasi fondamentalismo, sia arabo, che americano, israeliano o russo che si voglia, di carattere religioso o nazionalista o di qualsiasi altro tipo, porta solo immani disgrazie. Lui consapevole o no, anche a colpi di «tweet» sta inaugurando e da protagonista, una nuova stagione piena di terribili preoccupazioni.