Se è vero che lo Stato islamico a Raqqa e a Mosul è stato spazzato via, nel «Siraq» ogni giorno si combatte casa per casa. Americani e russi ci hanno detto che la guerra è finita ma non solo: l’abbiamo pure vinta. A Donald Trump va bene qualsiasi cosa che distragga l’opinione pubblica dai continui pasticci che combina, mentre a Vladimir Putin, candidato alle prossime presidenziali-farsa, vincere facile piace sempre. Così il conflitto siriano è sparito dalle cronache quotidiane ma sgozzamenti, esecuzioni sommarie e autobombe scandiscono ancora la quotidianità in molte aree della Siria e dell’Iraq. Lo stesso vale per il pericolo che incombe sull’Europa, ma ora che la catena continua di attentati si è momentaneamente arrestata per molti, il problema si è magicamente risolto. Ennesimo errore che pagheremo a caro prezzo, l’islam radicale si rafforza di continuo in Europa approfittando della nostra debolezza. In ogni caso un mistero continua ad aleggiare: che fine ha fatto Abu Bakr Al Baghdadi? È vivo o è morto colui che si autoproclamò nel 2014 «Califfo principe dei credenti»? In molti hanno provato ad ucciderlo e altrettanti lo hanno cercato tra le migliaia di cadaveri rimasti intrappolati tra le macerie di Raqqa, ma non è stato trovato nulla che possa avvalorare la tesi che sia morto. Chi lo ha conosciuto nel carcere iracheno di Camp Bucca non ha mai avuto dubbi sulla sua sorte e aveva avvisato chi gli dava la caccia: «Troppo astuto per farsi accerchiare e catturare, è fuggito.» Oggi, anche se di lui non resta che il video girato nella moschea di Al-Nouri di Mosul (5 luglio 2014) nel quale raccontò al mondo della nascita dello Stato islamico e un audio registrato all’inizio della battaglia di Mosul (novembre 2016), gli specialisti di varie nazioni hanno ricomiciato a cercarlo con maggiore convinzione. Lo stesso fanno molti cacciatori di taglie provenienti da ogni parte del mondo, d’altronde 25 milioni di dollari sono pur sempre un bell’incentivo. Le ipotesi sul tavolo sono diverse: c’è chi ritiene che il califfo non abbia mai lasciato i luoghi dove ha sempre vissuto in Iraq e che proprio li si nasconda. Magari dopo essersi tagliato la barba protetto dai clan locali e da quel che resta del suo stato maggiore, potrebbe attendere il momento migliore per inizare la fase 2.0 dell’ISIS. Alcuni servizi segreti dell’area mediorientale invece sono più propensi nel ritenere che si trovi nel nord dell’Egitto, dove negli scorsi mesi c’è stato un grosso afflusso di jihadisti in fuga dal «Siraq». Teoria possibile, anche se l’area è dominata dalla branca locale di Al Qaeda con la quale i rapporti non sono certo amichevoli, anzi, l’attuale leader qaedista Ayman Al Zawahiri, che lo odia invita i reduci dell’ISIS ad aderire al suo gruppo. Stessa considerazione va fatta per la sua possibile presenza in Africa, sia in Somalia sia in Nigeria, dove agiscono rispettivamente gli Al Shabaab e Boko Haram, che non lo aspettano a braccia aperte. Anche l’ipotesi che possa aver stabilito dal 2016 la sua nuova base a Sirte (Libia) ha perso l’inizale fondamento. È vero, come scrive Michela Mercuri nel suo libro «Incognita Libia», che il Paese non lo governa più nessuno e che è ormai una polveriera fatta di scontri tribali, rivalità di ogni tipo ed enormi interessi economici, tuttavia proprio per questi ultimi sul terreno agiscono diverse forze speciali e l’intelligence di molti paesi (in primis l’Italia) senza dimenticare che nella zona sono piuttosto frequenti gli «strikes» dei droni americani. A questo punto la teoria che potrebbe avere maggior fondamento è quella dei russi, condivisa da una buona parte delle agenzie USA, i quali hanno monitorato un altro esodo di jihadisti: quello dei foreign fighter tagiki, uzbeki, turkmeni, ceceni e anche di qualche irridicibile europeo, per raggiungere le impervie montagne del Wilaya Khorasan (tra Afghanistan e Pakistan), dove agiscono quelle tribù che fecero da scudo alla decennale latitanza di Osama Bin Laden. Se così fosse avrebbe commesso un grave errore, perché a dargli la caccia troverebbe i talebani rimasti fedeli ad Al Qaeda, le forze speciali americane, senza dimenticare i maestri dell’inganno dell’ISI (servizi segreti pakistani) e quelli russi che non hanno nessuna intenzione di averlo come vicino di casa. In tal senso l’ordine dello zar è chiaro: uccidetelo. Per il califfo il mondo che gli sembrava tutto da conquistare è diventato fin troppo piccolo.
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