Quei Petti Gonfi in Redazione

Qualche giorno fa sul quotidiano “La Regione” giornale da tempo impegnato in una battaglia moralizzatrice dei pubblici costumi con la quale alcuni dicono che provi a fermare l’emorragia di lettori, insieme alla notizia del processo a carico dell’agente di polizia intervenuto in maniera eccessivamente energica fuori da un locale pubblico, ha trovato posto anche un commento a firma C.F dal titolo “ Quei pet­ti ‘gon­fi’ sot­to le di­vi­se” (in fondo alla pagina.

Dopo aver descritto quanto accaduto fuori dal locale scrive: Lo di­cia­mo su­bi­to: non si vuol fa­re di un’er­ba un fa­scio. Ma si sa che la gra­mi­gna è ca­pa­ce, da so­la, di com­pro­met­te­re in­te­ri rac­col­ti. È quan­to ci pa­re ca­pi­ti, sem­pre più spes­so, all’in­ter­no di quan­ti so­no chia­ma­ti a sal­va­guar­da­re la si­cu­rez­za dei cit­ta­di­ni: agen­ti di po­li­zia e guar­die pri­va­te, sem­pre me­no tu­to­ri dell’or­di­ne e sem­pre più ‘in­ne­sca­to­ri’ di vio­len­ze gra­tui­te. Il metodo usato dal quotidiano è quello classico utilizzato dai demagoghi non importa se di destra o di sinistra, (per carità si sa che quest’ultima la può usare in virtù della propria manifesta superiorità morale) quella del “non vogliamo generalizzare”, “non è sempre così”, “non si vuol fa­re di un’er­ba un fa­scio ma si sa che…

Tale metodo riesce a renderli detestabili persino quando conducono battaglie giuste vedi quella della “No Billag”. L’estensore del pezzo si è persino dimenticato del fatto che (come accaduto a Lugano) quando vi sono stati interventi sproporzionati o manifestamente violenti da parte di agenti di polizia, gli stessi non vengono mai coperti da nessuno e sono sempre comunicati ai media. Anzi, sono gli stessi colleghi che testimoniano e mettono i vertici dei loro corpi nella condizione di scoprirli e di far prendere i provvedimenti del caso.  Il tutto senza mai nascondersi nemmeno dall’opinione pubblica segno evidente che gli anticorpi ci sono e anche molto forti.

Nel commento de “La Regione” ci si è persino dimenticati di citare quanti siano questi eccessi dei “tu­to­ri dell’or­di­ne e sem­pre più ‘in­ne­sca­to­ri’ di vio­len­ze gra­tui­te”. Ma quanti sono? Uno, dieci, cento, oppure si tratta di migliaia di casi?  O si tratta di casi  isolati e sono (purtroppo) nella natura umana? Domanda: Onde evitare che qualcuno possa pensare che la gramigna sia entrata in redazione non sarebbe utile fornire dei numeri di riferimento?

Fortuna vuole che il giorno successivo dalla pubblicazione su “La Regione” la Commissione degli affari giuridici del Consiglio Nazionale abbia accolto a larga maggioranza tre iniziative, una di Marco Romano (PPD), una di Bernard Guhl (PBD/AG) e una del Canton Berna per inasprire le norme penali nei confronti di chi ricorre alle maniere forti con le autorità, siano essi agenti di polizia o semplici dipendenti pubblici impegnati nello svolgimento delle loro funzioni. A proposito di numeri: dal 2011 le denunce presentate “per minacce e vie di fatto” sono stabilmente sopra le 2.500 all’anno. In media, più di 7 funzionari sono oggetto ogni santo giorno di maltrattamenti. Peccato che “La Regione” non sia accorta della notizia. Dopotutto che gli frega di 7 funzionari dello Stato aggrediti ogni giorno? Se poi sono a essere aggrediti sono gli “in­ne­sca­to­ri’ di vio­len­ze gra­tui­te” tanto meglio? Il Corriere del Ticino invece, ha dedicato una pagina intera alla decisione della commissione trovando la notizia di grande rilevanza visto che a tale risultato, hanno hanno anche contribuito l’associazione che ho il privilegio di presiedere “Amici delle Forze di Polizia Svizzere che ha raccolto le firme di 15.000 cittadini che vogliono che si cambi l’articolo 285 CPS, l’associazione che riunisce le Polizie Comunali del Canton Ticino e la Federazione Svizzera dei Funzionari di Polizia. Un fatto di portata storica eccezion fatta per il quotidiano diretto da Matteo Caratti. C’è da preoccuparsi per queste derive e per questo di modo di informare i propri lettori? Certamente si ma i primi a doversi porre delle domande sono proprio coloro che ricevono queste notizie e cioè i loro lettori ma non solo: Con la crisi che vive il settore dell’informazione dovuta anche al calo degli introiti pubblicitari anche gli stessi giornalisti si devono interrogare sulla qualità del loro lavoro. Meno etica, meno rigore nella professione ed il ricorso alle “fake news” che piu’ che giornalisti è da “cazzari” per accreditare opinioni personali trasformate in fatti, allontanano i lettori e tengono alla larga anche chi potrebbe acquistare della pubblicità che oggi vale oro. Il grande scrittore russo Aleksandr Isaevic Solzhenitsyn riassunse bene e in tempi non sospetti i concetti di fretta e superficialità che affliggono (anche oggi) il mondo dell’informazione: “La fretta e la superficialità sono le malattie psichiche del ventesimo secolo, e più di ogni altro posto si riflettono nella stampa.”

 

Quei pet­ti ‘gon­fi’ sot­to le di­vi­se

Lo di­cia­mo su­bi­to: non si vuol fa­re di un’er­ba un fa­scio. Ma si sa che la gra­mi­gna è ca­pa­ce, da so­la, di com­pro­met­te­re in­te­ri rac­col­ti. È quan­to ci pa­re ca­pi­ti, sem­pre più spes­so, all’in­ter­no di quan­ti so­no chia­ma­ti a sal­va­guar­da­re la si­cu­rez­za dei cit­ta­di­ni: agen­ti di po­li­zia e guar­die pri­va­te, sem­pre me­no tu­to­ri dell’or­di­ne e sem­pre più ‘in­ne­sca­to­ri’ di vio­len­ze gra­tui­te. Ie­ri ne ab­bia­mo avu­to una nuo­va con­fer­ma dal­le im­ma­gi­ni re­gi­stra­te nel­le vi­deo­ca­me­re del­la cit­tà e del co­man­do del­la Pol­com. Pri­ma i ‘mar­can­to­ni’ del­la di­sco­te­ca lu­ga­ne­se che in­se­guo­no, una vol­ta fuo­ri dal lo­ca­le pub­bli­co, il gio­va­ne ubria­co e lo get­ta­no con for­za a ter­ra. Si era già al­lon­ta­na­to, per­ché pla­car­lo in quel mo­do? Mal che va­da si sa­reb­be pre­so una de­nun­cia per dan­neg­gia­men­to. Poi l’agen­te, sup­por­ta­to dai tre col­le­ghi, che sep­pur am­ma­net­ta­to e iso­la­to in un an­go­lo il fer­ma­to, rea­gi­sce to­glien­do­gli la se­dia e col­pen­do­lo in più oc­ca­sio­ni. A ‘pre­oc­cu­pa­re’, sot­to quel­le di­vi­se, i pet­ti gon­fi de­gli agen­ti e le ma­ni sul­le pi­sto­le, for­ti di un di­stin­ti­vo che sa­reb­be chia­ma­to di­ver­sa­men­te a stem­pe­ra­re gli ani­mi an­zi­ché fo­men­tar­li. E so­prat­tut­to quel sor­ri­so com­pia­ciu­to del col­le­ga do­po aver as­sol­to al pro­prio… com­pi­to: le bot­te. Gra­tui­te.

23 feb 2018 C.F.

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