Urla dal silenzio, la tragedia del popolo Yazida

Sono trascorsi (alla data nella quale scrivo) 1316 giorni da quel 3 agosto del 2014 passato alla storia per le atrocità commesse dal sedicente Stato islamico che con i suoi soldati, mise letteralmente a ferro e fuoco l’intera regione del Sinjar (nord dell’Iraq) dove da sempre, vive il pacifico popolo degli yazidi. Nel completo o quasi disinteresse della comunità internazionale, solo in quella giornata vennero passati per le armi 3.100 yazidi ma non solo, 6.800 di loro (in gran parte donne) vennero rapite per essere vendute come schiave con tariffe che partivano da 9 dollari, oppure finivano nei bordelli del califfato. Prima del 2014, nella regione del Sinjar viveva piu’ della metà del popolo yazida (censita in Iraq) circa 518.000 unità. Le stime attuali fatte nel Kurdistan iracheno parlano di 350mila divisi tra profughi e sfollati yazidi,  Coloro che non sono stati uccisi vivono per il 90% nei misieri campi profughi dove manca tutto e migliaia di donne e bambini sono ancora ridotti in schiavitù ( almeno 3.000). Ormai sappiamo quanto gli islamisti amino indossare i panni dei “protettori dell’Islam”, con diritto di vita e di morte su chiunque. Un ruolo che serve a emendare quel che resta della loro coscienza per poter dormire sonni tranquilli. È in nome di Allah, che con grande fervore e fierezza processano, condannano, saccheggiano, devastano, stuprano donne e bambine e poi uccidono come fatto nel Sinjar e altrove.

Il giornalista italiano Simone Zoppellaro, profondo conoscitore dell’area mediorientale ha recentemente pubblicato il libro” Il genocidio degli yazidi- L’Isis e la persecuzione degli adoratori del diavolo”(edito da Guerini e Associati) dove descrive minuziosamente la storia di questo popolo e del genocidio del quale questa piccola minoranza religiosa è stata, ed è tuttora vittima. Simbolo del popolo yazida è la giovane Nadia Murad che dopo aver vissuto ogni genere di abuso e tortura da parte dei miliziani dell’Isis, è riuscita a ritrovare la libertà. Grazie a questo libro scritto con rara passione civile che ti fa sobblazare di indignazione a ogni pagina, Nadia Murad ci dice di come si dovrebbe riconoscere il nostro caso come genocidio, da un punto di vista legale, proteggendo questa comunità che oggi sta scomparendo. La nostra comunità è ora dispersa, distrutta, senza futuro. Ci stiamo estinguendo”. Ma non solo, la Murad che è oggi candidata al premio Nobel per la pace, descrive quanto accade oggi ogni giorno al popolo yazida: “In questa situazione anche la fiducia viene meno. I sopravvissuti vivono per il 90% nei campi profughi, migliaia di donne e bambini sono ancora ridotti in schiavitù. Siamo in giro per il mondo e i nostri villaggi – anche quelli liberati – sono distrutti e non possiamo farci ritorno. La nostra unica speranza è la comunità internazionale”. Il libro è arricchito da interviste realizzate da Simone Zoppellaro in Germania, dove vive oltre la metà di coloro che sono protagonisti della diaspora yazida sparsa per il mondo, nella regione del Sinjar (oggi liberata), e nei campi profughi dove tra mille paure e nessuna prospettiva, vivono coloro che sono scampati alla furia islamista. Impossibile o quasi per loro ricostruirsi una vita senza avere piu’ nulla, lasciati nell’oblio e senza avere piu’ avere delle personalità in grado di guidare quel che resta del popolo yazida. Il libro ci racconta anche il perché gli yazidi vengano rapprentati come “adoratori del diavolo”, quando in verità sono solamente credenti di “una religione pacifica, che non ha mai cercato di fare proseliti, e anzi proibisce nel modo più categorico ogni forma di conversione. Yazidi lo si è soltanto di nascita”. È ora che il mondo riconosca il genocidio del popolo yazida senza piu’ girarsi dall’altra parte.

 

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