Vladimir Putin è stato rieletto con il 76,7% dei voti alla presidenza della Russia per altri sei anni. Quindi se non metterà mano alla costituzione che oggi non consente più di due mandati presidenziali (sul tema non si accettano scommesse), resterà in carica fino al 2024. Il tasso d’affluenza al voto è stato del 67,47%, numeri superiori alle precedenti elezioni presidenziali del 2012 (65,3%). Lo Zar però puntava al 70% dei votanti in modo da legittimare ulteriormente il suo consenso nel paese per lanciare un messaggio nei confronti dell’Occidente con il quale il confronto si fa sempre più complesso. Le elezioni le aveva indette per il 18 marzo scorso non a caso il quarto anniversario dell’annessione della Crimea sottratta all’Ucraina. La data simbolica è servita anche a far aumentare il culto della personalità giunto a livelli nord-coreani, e a far montare a dismisura l’orgoglio nazionalista russo tratto distintivo della sua azione politica. Ma che elezioni sono state? Secondo l’OSCE «in Russia è mancata una reale competizione». A tal proposito gli oppositori e gli attivisti anti-Putin ad urne chiuse, hanno denunciato clamorosi brogli in tutto il paese pubblicando video che mostrano le irregolarità. Il passaggio elettorale che nei giorni precedenti al voto aveva visto nascere in Inghilterra «il caso Skripal» (ex spia di Mosca colpita insieme alla figlia con gas nervino) era comunque già stato «blindato» a dovere da Putin e dalla sua «druzina» (i fedelissimi) che con il ferreo controllo dei media e la costante eliminazione di chiunque gli si voglia opporre, non ha mai avuto un solo dubbio sulla sua rielezione. L’ex semi-sconosciuto agente del KGB che arrivò al Cremlino nel 2000 e che ereditò un paese in macerie da Boris Eltsin, ha combattuto e molto in questi anni. In primis contro lo scellerato allargamento della Nato ad Est, poi contro l’interventismo americano in Medio Oriente e nei Balcani riuscendo spesso a mettere in crisi l’occidente. L’autentico capolavoro in questo senso però lo ha realizzato negli USA dove è riuscito a mandare in tilt la più grande potenza planetaria «giocando di sponda» anche con indirette attività cyber, affinché venisse eletto alla presidenza Donald Trump del quale aveva sotto controllo lo staff elettorale prima blandito, poi usato, e infine scaricato come si fa con coloro che vogliono giocare con «quelli veri». Il risultato raggiunto (dal suo punto) di vista è straordinario; le istituzioni americane con Trump vivono una profonda crisi dagli esiti imprevedibili. Nei 18 anni di gestione del potere lo Zar ha dimostrato grande intelligenza tattica e innata capacità di saper sfruttare al meglio le titubanze americane dell’ex presidente Barack Obama e quelle dell’Europa. Tante però le pagine oscure scritte nell’era dello Zar, corruzione ad ogni livello, interventi militari, e troppi omicidi rimasti impuniti: Boris Nemtsov, Anna Politkovskaja, Boris Berezovskij, Natalja Estemirova, Aleksandr Litvinenko e molti altri divisi tra oppositori politici e giornalisti, che svolgevano inchieste sgradite al potere. Il Putin successore di se stesso ha promesso per i prossimi sei anni grandi investimenti per vincere la sfida tecnologica, digitale e infrastrutturale in modo da affiancare la Cina e gli Stati Uniti nella corsa alla leadership mondiale. In molti, tuttavia, si chiedono come farà a trasformare un Paese che ha un prodotto interno lordo inferiore a paesi come l’Italia e che soffre di un preoccupante e costante calo demografico? Da Vladimir Vladimirovi Putin abbiamo imparato molte cose; ad esempio cosa sia una «guerra ibrida» e come attraverso di essa si possa indebolire e far collassare il «nemico» senza sparare un solo colpo. Con lui abbiamo appreso di quanto anche le Istituzioni europee siano immobili davanti al più temuto e combattuto, amato e corteggiato leader presente sulla scena internazionale. Forse però qualche cosa potrebbe esser sfuggita anche a uno bravo come lui. Una su tutte è che infilarsi nelle guerre del Medio Oriente non è come far chiudere un giornale o mandare in Siberia un oppositore. Prima o o poi, dovrà scegliere e dire con chi sta e allora il prestigio personale non basterà più. A quel punto lo Zar potrebbe capire che in Siria ha fatto il passo più lungo della gamba e con lui un paese che non gode poi di grande salute (aldilà della propaganda). Non c’è dubbio sul fatto che se dovesse riuscire nell’impresa titanica di modernizzare la Russia e contemporaneamente pacificare e plasmare il Medio Oriente a sua immagine e somiglianza, passerebbe alla storia come un vero gigante. Se invece dovesse fallire, allora si troverebbe a dover fronteggiare prima o poi, gli avversari interni che ne reclamerebbero il posto. Non con una raccomandata o un voto di sfiducia, ma esattamente come capita a un dittatore africano qualsiasi.
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