Putin rimpatria in Russia migliaia di figli dei jihadisti (Libero 22 Aprile 2018)

Fra le macerie delle roccaforti dello Stato islamico (Mosul e Raqqa), rimane irrisolta la questione del ritorno in Europa di parte delle famiglie formatesi durante il cosiddetto Califfato. Il tema è controverso e nessuno, a parte rari casi, fa a gara per riportare in patria le vedove dei miliziani con passaporto europeo caduti in battaglia. Lo stesso vale per i loro bambini, nati durante gli orrori che hanno segnato la storia dello «Stato perfetto» voluto da Abu Bakr Al Baghdadi. Se l’Europa non ha una posizione unica sul loro rimpatrio, complesso da gestire anche per i rischi futuri, la Russia di Vladimir Putin è impegnata in una monumentale operazione di salvataggio di donne e bambini che attualmente vivono in condizioni estreme tra Siria e Iraq senza documenti di identità riconosciuti. Lo stesso sta facendo il leader ceceno Ramzan Kadyrov per il quale «è un punto d’onore riportare i bambini e le loro madri in patria». Quanti siano questi casi è difficile stabilirlo ma qualche dato di partenza c’è. Circa 5mila tra cui 2.400 cittadini con passaporto russo sono partiti per unirsi alle bandiere nere del califfato dalla Russia e dall’Asia centrale.

Centinaia, se non migliaia, sono i bambini nati o portati nel Siraq dalle loro famiglie che attendono di sapere quale destino li attenda. Lo Stato iracheno non ha mai fornito cifre, a parte quelle trapelate in merito a un carcere di Baghdad dove si trovrebbero 1.400 tra donne e bambini frutto di relazioni con foreign fighters. A tal proposito nello scorso dicembre una trasmissione della Bbc, fece ascoltare messaggi vocali di donne russe detenute in questo carcere. Alcuni funzionari russi responsabili del programma che mira al ritorno di donne e bambini, hanno raccontato al New York Times di aver salvato 71 bambini e 26 donne fino all’agosto scorso. Non tutti però condividono lo sforzo russo-ceceno, sono molti coloro che temono danni nel medio lungo periodo. Nella regione del Caucaso settentrionale il terrorismo di matrice islamica è profondamente radicato da decenni, e il timore che si aggiungano nuove reclute al terrorismo è alto. Ziyad Sabsabi, senatore russo responsabile del programma di ritorno, lo esclude: «Sì, questi bambini hanno visto cose terribili, ma siamo certi che inseriti in un ambiente diverso, con i loro nonni, le cose cambieranno rapidamente». Nessuno invece, si interessa al destino dei bambini rimasti negli orfanotrofi di Mosul o Raqqa, che sarebbero circa mille, e dei quali è purtroppo facile prevedere il destino.

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