Terrorismo, il sistema francese non funziona ( CdT del 16.05.2018)

Nuovo attentato in Francia, sabato 12 maggio 2018 alle 20.47 in «rue Monsigny» che si trova vicino all’Opera e dove abbondano ristoranti e locali sempre molto ben frequentati, un uomo armato di un coltello da cucina con una lama di 10 centimetri improvvisamente, al grido di «Allah Akbar» ha preso a coltellate i passanti. Il bilancio dell’attacco è di un 29.enne deceduto per le gravi ferite riportate mentre sono quattro le persone ferite delle quali due in modo grave: un 34.enne e una donna 54.enne che sono stati operati e dichiarati fuori pericolo. Per l’ennesima volta l’autore dell’attacco il 21.enne ceceno con passaporto francese Khamzat Azimov, era noto e schedato dall’intelligence francese con la «Fiche S» vista la sua radicalizzazione che esprimeva con la barba incolta e l’abbigliamento islamico. Dopo pochi minuti  arrivata puntuale la rivendicazione dello Stato Islamico attraverso l’agenzia stampa «Amaq» che ha parlato di Khamzat Azimov come di «un soldato del Califfato» che secondo indiscrezioni, potrebbe essere entrato in azione su impulso proveniente dalla Siria. Le modalità utilizzate da Khamzat Azimov nato in Cecenia nel 1997 sono identiche a quelle di altri attacchi compiuti da jihadisti, ad esempio quello dell’ottobre scorso alla stazione «Saint-Charles» di Marsiglia dove vennero uccise dal tunisino Ahmed Hanachi, due malcapitate ragazze. L’estremismo islamico ceceno è ben conosciuto dai servizi francesi che stima che il 7% dei jihadisti francesi (partiti o rimasti in Francia) siano originari del Paese caucasico che confina a nord-ovest con il «Territorio di Stavropol», ad est e nord-est con la repubblica delDaghestan, a sud con la Georgiae ad ovest con le repubbliche dell’Ingusceziae dell’Ossezia del Nord-Alania, e che condivide con i suoi vicini la storica e continua crescita del fenomeno del radicalismo islamico. Da settimane con l’imminente inizio dei campionati del mondo di calcio in Russia, la regione del Caucaso ribolle; sono diretti alle migliaia di jihadisti caucasici che hanno combattuto con l’Isis o con al Qaeda in Siria tornati in patria o che vivono in Europa, i continui inviti a colpire durante il mondiale. Una propaganda che non si ferma mai e che pochi giorni fa ha preso di mira il presidente Russo Vladimir Putin rappresentato con alle spalle un miliziano armato di pistola nell’atto di sparargli. Le autorità francesi hanno subito lodato l’operato della polizia che in pochi minuti (circa nove), ha raggiunto il luogo dell’attacco eliminando Khamzat Azimov che si era lanciato all’attacco contro di loro. Tuttavia, le polemiche non tarderanno a concentrarsi sul fatto che ancora una volta l’attentatore era schedato per la sua pericolosità e la domanda sarà quasi sicuramente sul perché non fosse stato arrestato prima di colpire. Più che la parole sono i dati che possono fornire qualche risposta: dell’oltre mezzo milione di persone schedate a vario titolo con la «Fiche S» ci sono 25-30.000 islamisti potenzialmente violenti, un numero che rende praticamente impossibile la sorveglianza continua. In ogni caso il sistema preventivo francese non funziona visto che sono molte le «Fiche S» entrate in azione negli anni. Qualche nome :Adel Kermiche e Abdel Malik Petitjean i due ragazzi che sgozzarono in chiesa il parroco di Rouen, i fratelli Kouachi e Amedy Coulibaly, protagonisti dell’attacco a Charlie Hebdo. Ayoub El Khazzani l’attentatore del treno Thalys. Memmouche E. Mehdi altro cittadino francese di origine algerina, responsabile dell’attacco al museo ebraico di Bruxelles nel 2014 e prima di lui Mohamed Merah, che per otto giorni nel 2012 tenne sotto scacco la città di Tolosa e molti altri ancora. Altro dato che preoccupa  la deriva dell’Islam francese stretto nella morsa dei salafiti, della Jamaat Tabligh una costola del movimento ultraradicale dei Deobandi, della Fratellanza musulmana e dei turchi di Millî Görüs tutti in competizione tra loro per la leadership. Il tutto in un mare di denaro che arriva dai Paesi del Golfo Persico e dalla Turchia e che finanzierà le 300 tra moschee e centri culturali islamici previsti per i prossimi anni. In tutto questo, altro dato allarmante  quello delle 11 moschee chiuse durante il periodo delle leggi speciali (2015-2017). Alcune di esse hanno riaperto o lo faranno a breve con un nuovo nome e nuovi volti ma si tratta solo di operazioni di «maquillage» visto che i valori diffusi sono quelli di un tempo. Dopo la notte del Bataclan i vertici dell’antiterrorismo francese si recarono in fretta e furia a Washington per chiedere consigli su come migliorare la prevenzione in materia di radicalismo islamico. L’incontro fu molto breve, ai francesi che per l’occasione volarono in «first class» e alloggiarono in famoso hotel a 5 stelle della capitale americana (giusto per non farsi notare con disappunto degli agenti americani che per le spese di rappresentanza hanno una vera fissazione), venne semplicemente detto di prendere la macchina da Nizza a Sanremo e chiedere al primo maresciallo dei carabinieri come gestiva il problema. O si sono persi a causa del navigatore o il maresciallo di Sanremo non l’hanno ancora trovato. Allora qualcuno gli dica di chiamare Parigi.

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