La Tunisia fra retate di tagliagole e il ritorno di Ben Ali (Libero 30.05.2018)

Nuovi arresti in Tunisia, Paese che incontra enormi problemi con l’islam radicale. Nella capitale e dintorni non è rimasto più nulla delle illusioni della tanto decantata «rivoluzione dei gelsomini» del 2011 visto che la caduta del dittatore Ben Ali non ha fatto avanzare il Paese come si sperava. Oggi marginalità, miseria e la deriva dell’islam tunisino (un tempo sotto controllo del dittatore) hanno innaffiato le pianta del male. Il crollo dell’economia direttamente collegata al turismo e la conseguente disoccupazione di migliaia di addetti di un settore un tempo floridissimo, ha reso sempre più difficile il compito delle autorità. Di recente il quotidiano Al Quds Al-Arabi stampato a Londra, ha pubblicato una clamorosa indiscrezione che nessuno ha mai smentito: i governi di Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti avrebbero intenzione di riportare in Tunisia e non certo per fargli fare il pensionato, l’ex dittatore Zine El Abidine Ben Ali. Il progetto andrebbe a controbilanciare l’influenza del Qatar e dei Fratelli Musulmani nella regione. La notizia non va sottovalutata per due buone ragioni: Al Quds Al-Arabi è una testata conosciuta per impiegare analisti e giornalisti seri e ben informati, inoltre è fatto noto che a Tunisi e in moltissime parti del Paese, sono in molti a rimpiangere Ben Ali visto cosa è venuto dopo di lui. Gli emiri del Qatar che dopo la rivolta del 20111 avevano iniettato prestiti per miliardi dollari nelle casse tunisine al momento di definire i tassi di interesse non si sono certo distinti per moderazione, e oggi, c’è chi non vede l’ora che spariscano dalla Tunisia. L’ex padre padrone attualmente in esilio dorato in una località dell’Arabia Saudita insieme alla consorte Leila Trabelsi (voracissima al pari del resto della sua famiglia nello spogliare il Paese e a prendere mazzette su tutto), sarebbe l’uomo giusto per far scappare a gambe levate gli uomini di Doha? In ogni caso che l’islam radicale rappresenti ancora un grosso problema per la nazione lo ha messo in rilievo l’operazione di qualche giorno fa della Guardia nazionale con un’importante blitz antiterrorismo nella zona di Sousse, terza città più popolata del Paese dopo Tunisi e Sfax. Sousse un tempo era nota per la sua «medina» (patrimonio dell’Unesco) e per l’ospitalità della sua gente, tanto che era visitata da un milione di turisti all’anno. Oggi detiene anche il triste record dei foreign fighters. Sarebbero infatti più di 1.000 coloro che sono partiti da qui per il Siria e Iraq, mentre il totale dei jihadisti tunisini oscilla tra le 6.000 e le 7.000 unità. Tutti miliziani confluiti tra i 40.000 del califfato e di altri gruppi jihadisti. La cellula terroristica oggetto dell’ultimo blitz era particolarmente insidiosa visto che si occupava prevalentemente di proselitismo religioso e dell’arruolamento di giovani e giovanissimi tunisini da inviare nei vari gruppi armati. L’operazione si è conclusa con 13 arresti, tre dei fermati erano già noti perché coinvolti in operazioni dell’organizzazione terroristica Ansar Al Sharia. La cellula oggetto del blitz vendeva al miglior prezzo gli aspiranti jihadisti e prova se ne è avuta durante gli interrogatori condotti dalla polizia tunisina notoriamente poco «delicata». Le dinamiche tunisine sono elemento di costante preoccupazione in tutta Europa visti i numerosi tunisini protagonisti di attentati terroristici. Altro tema inquietante è la gestione del tema foreign fighter di ritorno. Un migliaio di loro sarebbero morti in battaglia, mentre circa 6-700 avrebbero fatto ritorno a casa. Secondo l’intelligence di Tunisi non sono pochi quelli che sono riusciti a evitare il carcere e oggi circolano liberamente. Facile immaginare quali progetti abbiano anche per il nostro futuro.
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