Mercoledì 4 luglio, attraverso l’agenzia di stampa «Amaq» lo Stato islamico ha annunciato la morte di Huthaifa al-Badri, descritto come un «combattente d’élite». Nessuna data certa del decesso e chi si aspettava la foto di un truce combattente barbuto ha dovuto ricredersi. Huthaifa al-Badri non era altri che un ragazzino dal cognome pesante e con un padre molto, molto ingombrante. Si tratta infatti di uno dei figli del califfo Abu Bakr Al Baghdadi rintanato o al confine tra Siria e Iraq, come affermato più volte, oppure in qualche area tribale del Pakistan dove potrebbe muoversi con maggiore sicurezza ma sarebbe lontano dalle zone dove ha visto crescere il suo potere. In ogni caso il giovane è caduto in uno scontro armato nei pressi di una centrale elettrica nella provincia di Homs (Siria). Ad ucciderlo «mentre affrontava i nusayriti», ovvero gli alawiti del presidente siriano Bashar al Assad, sarebbero stati dei soldati facenti parte del contingente siriano-russo.
A proposito di Assad, possiamo registrare che dopo 500.000 morti e una guerra civile dove si è visto ogni genere di nefandezza da entrambe le parti (compreso l’infame uso dei gas), nessuno si sogna più di rimuoverlo. Anzi, grazie al supporto ricevuto da russi e iraniani e alla debolezza politica americana, il presidente siriano è tornato ad essere imprescindibile. Non ci sarebbe quindi da stupirsi se tra qualche anno venisse convocato con tutti gli onori a Stoccolma per ritirare il premio Nobel, magari per la pace. D’altronde l’Accademia svedese, avendo insignito a suo tempo Yasser Arafat della prestigiosa onorificenza, in Assad (figlio) potrebbe aver trovato un nuovo «simbolo di pace».
Qualche giorno prima dell’annuncio della morte del giovane figlio di Al Baghdadi, il monte Karachok che si trova vicino alla città di Makhmour, a circa 60 chilometri a sud ovest di Erbil (o Arbil, città curda dell’Iraq), è stato pesantemente bombardato per diverse ore dalle forze americane supportate dai combattenti Peshmerga curdi comandati da Sirwan Barzani. Obiettivo del raid erano alcuni combattenti dell’ISIS rifugiatisi sull’impervia montagna dopo numerosi scontri a fuoco nei giorni precedenti. Si è compreso subito che non erano jihadisti qualsiasi quelli ai quali le forze USA e curde davano la caccia. Tra loro c’era «il capo della finanze e della logistica dello Stato islamico», il misterioso Abu Obaida che è stato ucciso nel raid. Ma chi è Abu Obaida? Si tratta di un vecchio combattente che utilizza uno dei tantissimi alias o è una nuova leva dell’ISIS? Di lui non esistono immagini o video pubblici (ovvio che l’intelligence americano abbia il suo dossier) quindi è complesso dargli un volto e soprattutto accreditargli una qualsiasi biografia. C’è chi pensa che vista l’abilità con la quale si muovono i combattenti dell’ISIS e la facilità con la quale assumono identità false e relativi passaporti non sarebbe sorprendente scoprire che dietro al nome di Abu Obaida non ci sia qualche «foreign fighter» del quale non si hanno più notizie da tempo. Nell’epoca delle guerre asimmetriche combattute con i droni che spuntano da tutte le parti, l’epoca delle guerre «cyber», a fare la differenza nel grande caos globale è ancora il documento di identità che porti addosso.
Meglio non soffermarci, almeno per il momento, sulle migliaia di passaporti originali spariti negli anni (solo per restare in Europa) in Svezia o in Bosnia.