Torna a farsi sentire, con voce infantile, lo Stato islamico in Cecenia. L’Isis ha rivendicato attraverso la sua agenzia stampa Amaq, la serie di attacchi dello scorso 20 agosto contro la polizia in varie località cecene. Gli attacchi, contemporanei e ben pianificati tra loro, hanno causato un morto e diversi feriti tra gli agenti. Sui fatti è intervenuto il presidente Ramzan Kadyrov, che ha precisato «i terroristi sono stati neutralizzati». Colpisce il fatto che tutti gli attentatori erano degli adolescenti, un fatto comunicato dalla polizia cecena che ha descritto due degli episodi; quello di Mesker-Yurt dove un ragazzo si è fatto esplodere nei pressi di una stazione di polizia rimanendo gravemente ferito e per fortuna senza fare vittime, e quello di Grozny con la polizia che aperto il fuoco contro un ragazzo che al volante di un’auto era intento ad investire degli agenti. Il ministro dell’Informazione del governo regionale ceceno, Dzhumbulat Umarov ha confermato che «a parte un adulto tutti gli assalitori avevano un’età compresa tra gli 11 e i 16 anni». L’ATTACCO A GROZNY Nella città di Shali i poliziotti feriti sono stati tre mentre è stata colpita anche una donna. Sui social network, sono comparse però le impressionanti immagini dell’attacco a Grozny, dove una macchina investe alcuni uomini in uniforme (non si capisce se soldati o poliziotti). A guidare il veicolo c’era un uomo che aveva a fianco un ragazzo che durante la corsa ha lanciato una granata (rimasta inesplosa), prima di essere ucciso, insieme al conducente, dalla polizia. La Cecenia, terra da sempre molto difficile, produce a getto continuo ribelli contro i quali è difficile confrontarsi e non solo in tema di radicalismo islamico dato che ha visto crescere anche una delle organizzazioni criminali più spietate del mondo, la cosidetta «Obscina» più conosciuta come «mafia cecena» operativa in Asia Centrale ma non solo; in Europa (Germania in particolare) e persino nella «triplice frontiera» sud-americana. Si occupano di traffico di droga compresa la marijuana, precursori chimici, armi pesanti e leggere di ordigni e se capita, di esseri umani. Il tutto senza disdegnare accordi con gruppi jihadisti compresi i talebani afgani. Nel 1994, per fermare la rivolta secessionista e indipendentista, l’allora presidente Boris Eltsin usò il pugno di ferro, un fatto che fece fuggire molti cittadini ceceni in Europa (almeno 60mila sono in Germania) e molti negli USA. LA RIVOLTA CONTRO MOSCA E chi poteva simpatizzare per l’insurrezione cecena? Naturalmente le monarchie sunnite del Golfo Persico con i sauditi in prima fila. Grazie ai petrodollari, alle moschee costruite in fila, alle associazioni caritatevoli hanno fatto deragliare anche la lotta per l’indipendenza da Mosca trasformatasi in una feroce jihad di matrice salafita-wahabita. Da qui la presenza massiccia dei ceceni che si sono sempre distinti sui campi di battaglia, sia con Al Qaeda in Afghanistan, che con lo Stato islamico di Al Baghdadi. Il califfo si fidava molto dei ceceni, tanto che ne aveva uno nel suo ristrettissimo gruppo di potere; Tarkhan Tayumurazovich Batirashvil, detto anche Abu Omar al-Shishani, «ministro della guerra» dell’Isis e capo del battaglione dei combattenti caucasici ucciso nell’estate 2016 da un drone americano. Di qualche settimana fa l’arresto in Turchia di sua moglie, Seda Dudurkaeva, che viveva indisturbata in un quartiere residenziale di Istanbul e stava progettando degli attentati. La Dudurkaeva è la figlia dell’ex ministro ceceno Asu Dudurkaev travolto nel 2013 dallo scandalo della figlia un tempo reginetta di bellezza, sposatasi e di seguito fuggita con il comandante jihadista. I jihadisti caucasici creano da decenni problemi a Vladimir Putin che ha i suoi guai nel contenere i ceceni ma non solo; a far paura a Mosca ora ci sono anche i foreign fighter ritornati in Daghestan, Georgia, Inguscezia, Uzbekistan e Turkmenistan pronti a colpire l’odiata Mosca e naturalmente anche l’Europa.
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