Le deplorevoli ingerenze della Turchia (CDT 13.11.2018)

 

Dopo la scomparsa del giornalista saudita Jamal Khashoggi, svanito all’interno del consolato saudita ad Istanbul ormai un mese fa, in un editoriale pubblicato sul «Washington Post» del 2 novembre, il sultano di Ankara Recep Tayyp Erdoðan, al quale probabilmente non basta più avere a disposizione l’intera o quasi stampa turca, ha lasciato intendere che il principe erede al trono Mohammed bin Salman (MBS) fosse il mandante dell’omicidio di Khashoggi. Nell’editoriale Erdoðan scrive: «L’ordine è arrivato dal più alto livello del Governo saudita. Non credo per un solo secondo che re Salman, il guardiano delle sante moschee, abbia ordinato il colpo contro Khashoggi ma l’ordine di uccidere Jamal Khashoggi è venuto dai livelli più alti del Governo saudita». Nell’articolo scritto sul giornale, per il quale lavorava anche il giornalista saudita prima di scomparire, il presidente turco, da subito interessatosi al caso del malcapitato Khashoggi, non ha portato alcun fatto nuovo o prove tangibili ma ha inviato diversi messaggi a Riad: «Nessuno dovrebbe osare di nuovo commettere tali atti sul terreno di un alleato della NATO. Se qualcuno sceglie di ignorare quell’avvertimento, dovrà affrontare gravi conseguenze. L’omicidio di Khashoggi è stata una chiara violazione e un palese abuso della Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari. La mancata punizione degli autori potrebbe creare un precedente molto pericoloso». Aggiunge poi: «Eppure ci sono altre domande, non meno significative, le cui risposte contribuiranno alla nostra comprensione di questo atto deplorevole. Dov’è il corpo di Khashoggi? Chi è il collaboratore locale al quale i funzionari sauditi hanno affermato di aver consegnato i resti di Khashoggi? Chi ha dato l’ordine di uccidere quest’anima gentile? Sfortunatamente, le autorità saudite si sono rifiutate di rispondere a queste domande». Fa sorridere leggere l’indignazione dell’uomo che ha bisogno di costruire nuove carceri in Turchia perché non ha più spazio per tutti gli oppositori che fa arrestare. Non è forse deplorevole vivere da satrapo mentre il proprio popolo fatica ad arrivare al 10 del mese? E che dire dei continui inviti rivolti ai turchi che vivono in Europa a non integrarsi? E come giudicare lo spionaggio degli imam del DITIB in Germania? E i casi degli agenti dei servizi segreti turchi in Svizzera? Non sono deplorevoli le ingerenze in Austria, Belgio, Olanda, Francia? Intanto sono spariti dalle cronache i filmati e gli audio che dovevano dimostrare lo strangolamento, l’uccisione, lo smembramento del corpo e la successiva dissoluzione di Jamal Khashoggi. È sparito anche l’iWatch del giornalista saudita dove questi file sarebbero stati custoditi, ma di questo nessuno chiede più altro. I media turchi, piegatisi da tempo al verbo del partito islamico di governo AKP, da un mese non fanno altro che proporre teorie sulla morte del giornalista saudita. L’ultima tra queste sosterrebbe che il corpo di Khashoggi sia stato sezionato e disperso a caso nelle strade di Istanbul, ma parliamo della vita di un uomo quindi c’è poco da scherzare. A loro si aggiungono i supporter europei del Sultano: cani da guardia del regime di Ankara tra i quali ci sono blogger e giornalisti che usano il web e i social network per bastonare chiunque critichi il Sultano. È molto preoccupante, ma meritevole di approfondimenti da parte delle autorità di polizia e dell’intelligence, il fatto che tra loro vi siano anche funzionari governativi italiani, tedeschi e francesi. La domanda è d’obbligo: a chi sono fedeli e a chi rispondono costoro? Ad Ankara o agli Stati europei per i quali lavorano anche in posizioni delicate? In ogni caso Erdoðan ha utilizzato la vicenda di Khashoggi anche per riavvicinarsi agli Stati Uniti, con i quali le frizioni sono state molte. Missione compiuta tanto che i turchi non verranno toccati dalle nuove sanzioni decise dagli USA verso l’Iran, questo consentirà loro di continuare a comprare petrolio dagli ayatollah. C’è poi il patto di ferro che Erdoðan ha siglato con i protettori della Fratellanza musulmana, ossia gli emiri del Qatar. A tal proposito occorre ricordare che lo sceicco Tamim bin Hamad al-Thani ha recentemente investito almeno 15 miliardi di dollari in Turchia, questo per evitare che il Paese potesse sprofondare in una crisi a causa delle politiche dissennate in materia monetaria ed economica del regime islamista dell’AKP, che solo nel 2018 ha fatto perdere alla lira turca quasi il 40% del suo valore rispetto al dollaro. Non poteva mancare anche un regalo per il Sultano e per la moglie Emine, che vivono in una modesta casetta di 200 mila metri quadrati con 1.150 stanze, chiamata «Ak Saray» costata al popolo turco 615 milioni di dollari, senza contare le esorbitanti spese correnti. Per volare da una parte all’altra del mondo, gli al-Thani hanno pensato bene omaggiare il Sultano con il più costoso jet privato che c’è sul mercato (500 milioni dollari), facendolo diventare «il Sultano volante». Si tratta di un Boeing 747-8i attrezzato con ogni genere di confort. Comunque la si pensi quanto è accaduto, tra le mura del consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre 2018, ha fortemente indebolito l’immagine di MBS agli occhi del mondo, ma non solo, ha minato il suo rapporto con gli USA, ha ridato vigore ai suoi oppositori che erano rimasti tramortiti dalle purghe ordinate all’alba della sua ascesa, mettendo in difficoltà gli Emirati Arabi Uniti, l’Egitto e il Bahrain, quali preziosi alleati nello scontro con il Qatar e l’Iran. A questo quadro c’è da aggiungere la terribile guerra con lo Yemen e il mistero sulla quotazione (pare rimandata al 2019) in borsa del 5% di Saudi Aramco (la compagnia petrolifera saudita), che dovrebbe finanziare con 100 milardi di dollari il piano «Vision 2030», senza dimenticare l’annosa questione dei diritti umani nel Paese. È vero che MBS è l’erede designato al trono ma tra essere il Re e «l’erede designato» c’è ancora una corsa da fare, che oggi è piena di ostacoli.

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