QUEGLI SPARI A DALLAS 55 ANNI FA (Corriere del Ticino 24.11.2018)

A Dallas, in Texas, alle 12.30 ora locale del 22 novembre 1963, la Lincoln Continental a tetto scoperto accompagna il 35. presidente degli Stati Uniti John Fitzgerald Kennedy, la moglie Jacqueline Lee Bouvier Kennedy e il governatore dello Stato del Texas John Connally. Rallenta tra Houston Street ed Elm Street per giungere tra due ali di folla sulla Dealey Plaza. L’atmosfera  gioiosa, JFK e la moglie salutano la folla adorante, sono la coppia perfetta perché in apparenza sono felici, giovani, belli, ricchi e famosi. Il corteo presidenziale, formato da sette auto e dai motociclisti della polizia,  diretto al «Trade Mart» dove le autorità di Dallas li attendono per un pranzo d’onore. Non ci sarà nessuna festa purtroppo. Quella mattina il 46.enne John Fitzgerald Kennedy, ha un appuntamento al quale non può mancare. Alle 12.30 la macchina di JFK viene investita, in rapida successione, da colpi di arma da fuoco. Kennedy viene colpito e si porta entrambe le mani alla gola, John Connally viene colpito dallo stesso proiettile alla schiena. La moglie del presidente non si rende subito conto di quanto sta accadendo, poi si china sul marito e mentre lo guarda, vede la testa di JFK esplodere.

Nel tempo, le varie ricostruzioni diranno che i colpi esplosi furono almeno sei, tre ferirono JFK. Subito dopo la sparatoria, la Lincoln del presidente accellera e si dirige a tutta velocità al «Parkland Hospital» di Dallas per provare a salvargli la vita. Sarà tutto inutile, alle 13.33 del 22.11.1963 arriva la notizia: «Il presidente John Fitzgerald Kennedy è morto oggi approssimativamente alle 1.00 p.m., qui a Dallas. È morto per una ferita di arma da fuoco al cervello. Per quanto riguarda l’assassinio del presidente, per ora non abbiamo altri particolari». È tutto finito, è stato assassinato il presidente americano. La moglie Jacqueline perde il marito e i loro figli cresceranno senza padre. Il mondo invece, perde un leader carismatico al punto da essere ancora oggi, a 55 anni dalla sua morte, un mito. Di JFK si è scritto moltissimo, 40.000 libri, molti sul suo privato e sulla sua famiglia d’origine, sulle amicizie controverse con boss mafiosi e affaristi senza scuproli. Sono molti i testi che parlano della sua sessualità smodata e vissuta senza alcuna cautela, della sua salute minata da ferite di guerra talmente gravi (alla schiena) che per reggere alla sua vita frenetica, si narra, doveva ricorrere a potenti antidolorifici come anche alla morfina. Ricchissima anche è la biografia politica di JFK. Per una parte del mondo politico è stato il simbolo di una stagione irripetibile, quella nella «nuova frontiera» dei diritti civili e della libertà, mentre per altri JFK è stato uno spregiudicato uomo politico, vittima forse, dei suoi stessi giochi spericolati. Tuttavia, i meriti di JFK sul tema dei diritti civili sono noti, vedi il «Civil Rights Act» del 1964 voluto con forza, approvato dopo la sua morte, e la volontà di non aprire un conflitto con l’Unione Sovietica, sono incontestabili. Sulla sua presidenza è difficile dare un giudizio visto il poco tempo che JFK ha avuto a disposizione. Forse quando venne assassinato stava diventando un grande presidente?

Forse sì, ma non lo sapremo mai. Torniamo allora sulla «Dealey Plaza». In seguito agli spari, scattano le indagini in una Dallas impazzita che si  riempita di agenti federali. Gli inquirenti credono sia stato un killer che ha agito da solo, il quale è salito al sesto, piano del «Texas Book Depository», si è appostato vicino ad una finestra che punta sulla strada, ha sparato tre colpi in successione con un fucile «Manlicher-Carcano» che ha lasciato poi sul posto insieme alle sue impronte. Circa 90 secondi dopo lo vedono ancora nell’edificio e non pare turbato. Poi tre minuti dopo l’omicidio di JFK esce dalla porta principale e prende dapprima un autobus e poi un taxi, per andare nella pensione dove abita. Prende la sua pistola ed esce di nuovo, ma incrocia l’agente di polizia Frank Tippit e cosa fa? Lo uccide. Poi entra in un cinema dove prova a nascondersi, ma qui lo arrestano. L’uomo si chiama Lee Harwey Oswald, appare più confuso del solito e dice di non essere stato lui a sparare al poliziotto né tantomeno al presidente: «Sono solo una vittima, mi hanno incastrato perché ho vissuto in Unione Sovietica». Fuori le tv e giornali hanno già il colpevole. Oswald  perfetto, è filocastrista e filomarxista congedato «con disonore» dai marines. CIA, FBI e Dipartimento di Stato sanno tutto di questo comunista americano, che dal 1959 al 1961 vivrà in URSS dove troverà anche moglie. Due giorni dopo Jack Ruby, piccolo malavitoso di Dallas, vede in tv la moglie di Kennedy piangere per la morte del marito, e si «commuove», allora prende la pistola e raggiunge i locali della polizia di Dallas proprio mentre stanno trasferendo Oswald. Gli va incontro, spara e lo uccide gridando «Hai ucciso il mio presidente, topo di fogna». Ruby morirà in carcere il 03.01.1967 di tumore ai polmoni. Ma chi ha ucciso JFK? Lee Harwey Oswald o fu opera di un commando? Perché JFK doveva morire? Voleva andarsene dal Vietnam, fatto che avrebbe visto sfumare appalti miliardari all’industria della difesa? O perché voleva rivoluzionare «lo Stato profondo»? Il 29.11.1963 il presidente Lyndon B. Johnson (ex vice di JFK) per rispondere a queste domande nominò la «Commissione presidenziale sull’assassinio di John F. Kennedy» con a capo il giudice Earl Warren, al quale vennero affiancati uomini come Alan Dulles, ex capo della CIA che odiava JFK. Secondo la «Commissione Warren», che consegnò il suo rapporto Il 24.09.1964, «Lee Harvey Oswald fu l’unico responsabile dell’omicidio di JFK.

Non sono mai emerse prove di una cospirazione o il coinvolgimento di altre persone o di altre nazioni.» Erano le risposte che tutti volevano sentire, solo l’idea che JFK fosse stato ucciso da un complotto nato negli USA, in Russia, a Cuba o dalla mafia, metteva i brividi. Nei decenni successivi è emerso come molti documenti non arrivarono alla Commissione che, a dire il vero, non mostrò mai la volontà di risolvere il caso. Quello che resta a 55 anni dall’omicidio è il filmato amatoriale di Abraham Zapruder, che distrugge la teoria del killer solitario. Il secondo proiettile, che colpisce JFK e gli spacca la testa facendo fuoriuscire parti del cervello che la moglie raccoglie sul bagagliaio, venne sparato frontalmente. Chi negli USA pensò, ad esempio, che riportare in Germania il nazista Reinhard Gehlen, messo dalla CIA a capo dell’intelligence tedesca (dal 1956 al 1968) fosse una cosa spaventosa, non sapeva ancora cosa sarebbe venuto dopo.

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