Giudice ordina al Belgio: occorre riportare a casa i figli dei jihadisti in Siria (Libero 28.12.2019)

Dopo la sconfitta militare dello Stato islamico nel “Siraq”, i Paesi europei si confrontano con l’enorme problema del ritorno a casa dei foreign fighter e delle loro famiglie. Come gestire il rientro delle loro mogli un tempo attive nell’Isis, e dei loro figli, oggi detenuti nelle carceri curde della Siria nord-orientale? Dovremmo far tornare solo i bambini? Come potremmo separarli dalle loro madri che sono state imprigionate, in quanto ritenute responsabili di orrendi crimini, al pari dei loro uomini? Oppure dovremmo lasciare donne e bambini nelle carceri pur essendo consapevoli che all’orizzonte, la prospettiva di un intervento militare turco nell’area, si fa ogni giorno più concreto? Mentre a Bruxelles si discute sul da farsi, fingendo di non sapere che nessuno li vuole, la magistratura belga è entrata a gamba tesa sulla questione. Il 26 dicembre il Tribunale di Bruxelles ha intimato allo Stato belga, uno dei più grandi fornitori di combattenti stranieri rispetto alla sua popolazione (più di 400 jihadisti partiti dal 2013) di procedere al rimpatrio di sei bambini di età compresa tra 0 e 6 anni, e delle le loro due madri, di 25 e 26 anni; tutti detenuti nel campo profughi di Al-Hol, nel nord-est della Siria. Il Tribunale ritiene che: «nell’interesse dei bambini lo Stato belga debba contattare le autorità del campo di prigionia, ricorrendo se necessario al personale diplomatico e/o consolare di un altro Stato dell’Ue, di modo che vengano loro rilasciati i documenti di identità necessari anche ad entrambe le madri, che devono essere in grado di viaggiare con i bambini in un ambiente sicuro, senza essere costretti a fuggire». Il Tribunale ha fissato anche le tempistiche: Il Belgio ha 40 giorni di tempo per ottemperare alla sentenza e far tornare i sei bambini e le due madri, altrimenti scatteranno le sanzioni in misura pari a 5.000 euro al giorno di multa per bambino. I curdi, che hanno avuto un ruolo determinante nella sconfitta militare dello Stato islamico, sono stati completamente abbandonati al loro destino, anche nella gestione dei prigionieri europei, di cui nessuno vuole occuparsi. Per questo, due mesi fa a Bruxelles, si è svolto un incontro nel quale il rappresentante dei curdi ha denunciato con forza «il rifiuto dei Paesi europei di riprendersi i propri cittadini dell’Isis»; incarcerati durante il conflitto contro lo Stato islamico. È chiaro il messaggio dei curdi: «ci avete lasciato da soli a sopportare questo peso», e visti i numeri è difficile dar loro torto. In soli due campi di prigionia al confine con l’Iraq, sarebbero detenuti 584 donne e 1250 bambini di nazionalità europea. Tra i Paesi Ue che hanno mostrato di non voler occuparsi del problema c’è la Francia di Emmanuel Macron, alle prese con enormi problemi anche di ordine pubblico. Tuttavia, il 21 dicembre 2018, Ilham Ahmed, uno dei maggiori esponenti politici curdi in Siria, ha incontrato a Parigi lo staff del Presidente francese al quale ha fatto pervenire un chiaro messaggio: «I nostri alleati devono capire che se perdiamo il controllo del nostro territorio a causa del loro ritiro, non prenderemo terroristi stranieri con noi».

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