Chiudere il rubinetto al finanziamento degli estremisti
Negli scorsi giorni l’erede al trono saudita Moammad bin Salman al Saud ha annunciato l’entrata in vigore di una nuova serie di misure studiate per contrastare il terrorismo e le sue reti di finanziamento. Leggendo il dispositivo di legge, composto da 26 articoli che si aggiungono ai precedenti 96, viene spazzata via tutta la perplessità sorta quando il giovane principe, ancora sotto pressione per la morte di Jamal Khashoggi, aveva annunciato in tono non troppo convinto, di aver recepito gli espliciti messaggi di Washington e che avrebbe iniziato, per davvero, la lotta al terrorismo. Nello scorso mese di dicembre, dopo aver verificato che per il potente alleato americano il tempo era praticamente scaduto, re Salman bin Abdulaziz al Saud ha messo intorno al tavolo l’erede al trono (che guida il Consiglio degli Affari economici e di sviluppo), il procuratore generale e i tecnici di altri ministeri chiave, in modo da eleborare una legge “vera”. E così è stato, tanto che il governo ha proceduto ad approvarla già lo scorso 8 gennaio. L’Arabia Saudita dichiara quindi la sua guerra al terrorismo islamico che per decenni ha potuto contare sugli immensi finanziamenti provenienti dai palazzi a Riad e su quelli erogati da privati cittadini. Per tornare alla nuova legge antiterrorismo, le norme attuative comprendono la supervisione da parte del governo di 12 attività finanziarie. I sauditi hanno lavorato anche sulla protezione dei testimoni e sulle pene detentive che sono state inasprite in maniera pesante. Immancabile è il ricorso alla pena capitale, prevista nel caso in cui venga violato l’art. 50 del codice penale «la pena di morte è prevista quando una o più persone vengono uccise a causa delle attività terroristiche, pianificate o eseguite nel Regno». Nonostante queste misure occorre essere molto prudenti con l’ottimismo perché il fiume di denaro, che dall’Arabia Saudita arriva in Europa, finanzia moschee e associazioni, oltre alla produzione e distribuzione di libri che facilmente entrano nelle carceri europee. A tal proposito i rapporti bilaterali Germania – Arabia Saudita sono ai minimini termini visto che i tedeschi accusano gli emiri sauditi di aizzare, da anni, le comunità musulmane sunnite allo scontro sia con lo Stato tedesco, che con l’enorme comunità sciita presente in Germania. Se i sauditi sono responsabili della diffusione dell’estremismo islamico in Germania fin dagli anni 80, l’intera classe politica tedesca è colpevole di aver permesso l’affermazione di intere comunità autoreferenti, alle quali è stato concesso di tutto.
Il 2019 sarà quindi un anno decisivo per Germania e Arabia Saudita, le quali di questo passo rischiano di mandare in fumo decine di miliardi dollari, tra scambi commerciali e investimenti. Qualche numero: nel 2015 erano 10 i miliardi di euro in ballo tra i due paesi, poi con la lenta discesa a causa delle tensioni politiche si arrivò a 6.6 miliardi del 2017 continuando scendere ancora nel 2018. Nel caso in cui i sauditi non la smettessero di fare il doppio gioco in Germania, a pagare il prezzo più alto saranno le 800 aziende tedesche che lavorano attualmente in Arabia Saudita, di cui molte delle quali, sono impegnate nell’edificazione della avveniristica città di Neom, che per volere dell’erede al trono, sarà il luogo simbolo del suo piano “Vision 2030”, in particolare per le biotecnologie, l’energia rinnovabile e la tecnologia legata allo sfruttamento nell’agricoltura dell’acqua marina.
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