L’intelligence lancia l’allarme: i terroristi potrebbero utilizzare piccoli velivoli per colpire. Spaventa il nuovo prodotto dell’azienda che produce i kalashnikov.
Un drone, avvistato sulle piste da un aereo in fase di atterraggio, ha fatto scattare l’allarme sicurezza all’aeroporto di Malpensa (Milano). Lo scalo è stato chiuso per una ventina di minuti e quattro voli in arrivo sono stati dirottati su Linate e Torino. Non è la prima volta che accade: già il 3 marzo scorso era scattato un allarme analogo nello scalo milanese. E tra dicembre e gennaio era toccato agli aeroporti inglesi di Gatwick e Heathrow far fronte a sospensioni di voli e disagi per la presenza di droni sulle piste. Inevitabile che ogni volta si riapra il dibattito sulla sicurezza.
E sul rischio – ormai acclarato – che siano proprio i droni i mezzi utilizzati in futuro per compiere nuovi attentati. A proposito della nuova minaccia terroristica nelle scorse settimane il direttore dell’Fbi Christopher Wray ha infatti lanciato l’allarme ribadendo quanto dichiarò nell’ottobre 2018 al “Senate Homeland Security and Government Affairs Committee”: «La minaccia di attacchi portati con i droni», ha detto Wray, «sta costantemente aumentando vista la loro disponibilità commerciale, la mancanza di regole chiare per l’identificazione di chi vuole procurarseli e la facilità dell’uso. I droni verranno impiegati per facilitare attacchi negli Usa contro obiettivi vulnerabili ad esempio negli eventi di massa». A supportare la tesi del direttore dell’FBI ci sono i numeri; i voli sospetti dei droni negli Usa sono aumentati da 8 nel 2013, a 1.752 nel 2016. Evidentemente non tutti i velivoli perseguivano scopi criminali ma l’entità del fenomeno fa riflettere sulla minaccia che incombe negli Stati Uniti dove secondo la “Federal Aviation Administration” i droni registrati sono oltre un milione. Il che fa sorgere un altro interrogativo: quanti sono quelli non dichiarati? La domanda è lecita: con i droni, negli ultimi anni, sono stati eliminati moltissimi capi di Al Qaeda e dell’Isis. E gli stessi terroristi dopo aver perso molti uomini si sono attivati per entrare in possesso di queste micidiali armi. OPERAZIONE «ARTIGIANALE» Gli effetti li racconta la cronaca: nell’ottobre del 2016 un drone jihadista ha condotto un attacco “artigianale” contro una postazione curda uccidendo due soldati. Il successo dell’operazione è stato esaltato dai filmati di propaganda. Operazioni analoghe sarebbero state condotte nel 2017. E in un video del gennaio 2019, soldati curdi raccontano di essersi trovati di fronte un drone che li bombardava. Fin qui il Medio Oriente, ma che dire dei rischi che corre l’Europa? Tutti i segnali che arrivano dalle agenzie di intelligence internazionali ci dicono che dobbiamo aspettarci, in futuro, attacchi con droni anche nelle città europee. Questo senza contare che già oggi qualcuno sta facendo le prove attorno a qualche aereporto. Non è evidentemente il caso di Milano o Londra ma il solo fatto che ultraleggeri possano arrivare in prossimità delle piste desta preoccupazioni per la sicurezza degli aeroporti. Nel 2018 il rapporto del “Combating Terrorism Center” di West Point intitolato “The Islamic State and Drones” conferma uno scenario preoccupante. In base ai dati raccolti, i jihadisti sarebbero in grado di acquistare droni sempre più sofisticati in India, Bangladesh, Spagna, Danimarca e Gran Bretagna. Che la situazione stia mutando in Europa lo si è capito anche il 26 settembre 2018 grazie all’operazione del servizio segreto danese P.E.T (Politiets Efterretningstjeneste) che ha arrestato 2 persone con l’accusa di aver acquistato dei droni da spedire in Siria e di voler fare attentati nella stessa capitale danese. E ancora non è stato chiarito se il blitz fosse collegato all’operazione del 2017 dove venne arrestato sempre a Copenaghen, un 28enne con contatti in Siria trovato in possesso di componenti utili alla costruzione di droni. FUCILE D’ASSALTO Ad allarmare i responsabili dei servizi segreti e complicare ulteriormente il quadro europeo è arrivato anche un recente annuncio dell’azienda russa Kalashnikov produttrice del fucile d’assalto più conosciuto al mondo. I russi hanno presentato all’ultima fiera militare di Abu Dhabi il loro nuovo prodotto il “Kyb-Uav”, un drone in grado di trasportare fino a 3 chilogrammi di esplosivo e capace di esplodere all’impatto. Questo nuovo “drone-kamikaze” ha un’autonomia di 30 minuti e può raggiungere la velocità di 130 km orari. Chi ha assistito alla presentazione lo descrive come «un’arma micidiale, facile da utilizzare e dal basso costo che rivoluzionerà i conflitti». Il costo non è certo proibitivo visto che si dovrebbe partire da un prezzo base di 15-20.000 dollari per salire fino a 50.000 a seconda delle configurazioni richieste.
Il gruppo Kalashnikov inserito nella “State Corporation Rostec”, aveva lanciato la produzione in serie del sofisticato drone russo nel 2017, ma in pochi credevano che sarebbe stato possibile produrlo in un lasso di tempo così breve. Invece contro tutte le previsioni e le pressioni fatte per evitarne la commercializzazione, il “Kyb-Uav” è stato prodotto ed è oggi il nuovo incubo di tutte le agenzie di intelligence e delle autorità aeronautiche mondiali che temono, non a torto, una possibile corsa all’acquisto da parte di gruppi terroristici e della criminalità organizzata, di questa nuova e micidiale arma. E pensare che all’epoca i responsabili del progetto parlavano così del loro rivoluzionario drone: «Lavoriamo in segreto da due anni sul nuovo UAV che non ha analoghi in Russia e nel mondo intero. Fornisce funzioni uniche, funzionamento affidabile e facile e una modalità silenziosa, che è così importante per le agenzie di difesa e sicurezza».
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