«Gli estremisti hanno puntato su un Paese con un sistema di intelligence debole» Cdt 24.04.2019

intervista a cura di Osvaldo Migotto 

Sui retroscena e i punti oscuri degli attentati terroristici che il giorno di Pasqua hanno insanguinato lo Sri Lanka, abbiamo sentito il parere di Stefano Piazza, coordinatore dell’osservatorio sul fondamentalismo islamico dell’università della Calabria.

Le autorità dello Sri Lanka erano state avvertite da servizi di intelligence stranieri su una possibile serie di attentati. Come mai ciò non è bastato ad impedire la strage di domenica?

«I servizi segreti indiani hanno inviato un’informativa ai colleghi dello Sri Lanka datata 4 aprile, dopo essere stati allertati dalla CIA. Questa documentazione è rimbalzata tra vari uffici della capitale Colombo, ma non ha fatto scattare un’adeguata azione di prevenzione. Il dossier parlava di minacce imminenti, per cui qualcuno nei servizi segreti dello Sri Lanka non ha fatto pervenire con la dovuta urgenza queste informazioni ai massimi vertici del potere politico».

Come già accaduto in altre occasioni l’ISIS ha rivendicato gli attentati di Pasqua senza però fornire nessuna prova. Si tratta di pura propaganda?

«La rivendicazione dell’ISIS è arrivata due giorni dopo le stragi che hanno insanguinato Colombo e non chiarisce nulla. Non vengono forniti né prove, né luoghi e nemmeno dei dettagli su come è stata portata a termine questa azione terroristica. Si tratta di una dichiarazione molto generica. È possibile che lo Stato islamico si è vantato di un’azione che non gli appartiene».

Come mai?

«L’ISIS è in grosse difficoltà ed ha bisogno, soprattutto nel subcontinente indiano dove è in netta minoranza rispetto ai rivali di Al Qaeda, di fare queste operazioni per mandare un messaggio ad Al Qaeda».

Che reazioni vi sono state dalla relativamente piccola comunità islamica presente nello Sri Lanka?

«Ci sono state reazioni di condanna, ma in particolare c’è una grande paura di vendette. In questo Paese dopo quasi un trentennio di guerra civile tra forze governative e guerriglieri delle «Tigri Tamil» è subentrato un forte odio religioso. E ora i musulmani cingalesi temono che possano esserci delle vendette trasversali contro di loro».

Secondo il premier Wickremesinghe nel Paese vi è il rischio di altri attentati. Sono giustificati questi timori?

«Tutta quest’area asiatica, dal Bangladesh alle Filippine, dalla Malesia all’Indonesia e dalle Maldive allo Sri lanka è da mesi a fortissimo rischio. I servizi segreti dei Paesi più importanti, a cominciare da quelli degli USA hanno messo in guardia questi Stati sulla possibilità di attentati, in quanto sono al corrente dell’acquisto di materiale bellico che arriva da varie organizzazioni. Non si tratta dunque di allarmi vuoti; anzi sono allarmi giustificati e documentati. Il problema è che quando arrivano questi allarmi, poi bisogna capire a chi vanno in mano i documenti di intelligence. E come abbiamo visto non finiscono sempre nelle mani di persone affidabili».

Come mai è stato colpito proprio questo Paese che si stava un po’ riprendendo dopo anni di guerra civile?

«C’è una fragilità del sistema di sicurezza, una debolezza sostanziale degli apparati di intelligence e ciò rende facile portare a termine un’operazione di questo tipo. Se pensiamo agli attentati di Pasqua, la loro messa in pratica implica la mobilitazione di almeno una ventina di persone. Oltre agli otto kamikaze ci vogliono persone che mettano a disposizione appartamenti, che finanzino gli attentatori e che creino le condizioni per portare a termine le stragi. Queste persone quando si muovono non passano inosservate; nonostante ciò nessuno si è accorto di nulla e ha fermato gli attentatori. Ciò significa che ci sono delle carenze nel sistema di sicurezza. Gli islamisti sanno benissimo dove e chi colpire; nulla accade per caso. Prima di attaccare questi estremisti a volte studiano anche per mesi come e dove colpire».

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