La Malesia e l’estremismo islamico

La polizia malese ha reso noto lo scorso 16 maggio, di aver arrestato tre membri dello Stato islamico (IS) che stavano pianificando attacchi e omicidi su larga scala a sud-ovest della capitale Kuala Lampur. Si tratta dei 27enni malesi Muhammad Syazani Mahzan, Muhamad Nuurul Amin Azizan fermati a Kedah, nel nord della Malesia e il 34enne indonesiano Fatir Tir conosciuto anche con il nome di Nuruddin Alele arrestato a Selangor (uno dei tredici Stati e territori federali della Malesia). Il capo della polizia nazionale Abdul Hamid Bador nel corso della conferenza stampa, ha dichiarato che “ i due 27enni cittadini malesi si erano da tempo addestrati alla fabbricazione di bombe con il gruppo terroristico indonesiano “Jemaah Ansharut Daulah Indonesia”. Tutti e tre i jihadisti erano in grado di utilizzare il perossido di acetone, meglio conosciuto con la sigla “Tapt” o “Madre di Satana” sostanza con la quale volevano attaccare alcune chiese nella valle di Klang (Malesia). Il 34enne indonesiano Fatir Tir già detenuto per cinque anni nel carcere indonesiano di Surabaya (Indonesia) dove si era radicalizzato, voleva compiere un azione suicida nella città indonesiana di Yogyakarta (isola di Giava) e per questo aveva già effettuato dei sopralluoghi con gli altri due arrestati.

I tre arrestati volevano far saltare in aria delle chiese cristiane( come accaduto nello Sri Lanka)  ma anche tre templi induisti;  so tratta del Sri Subramaniyar di Batu Caves ( visitato da oltre 3.000 persone ogni giorno) , il tempio Sri Maha Mariamman Devasthanam a Jalan Tun HS Lee e il tempio Courthill Sri Ganesha a Jalan Pudu Ulu. Da tempo le operazioni anti-terrorismo si susseguono in Malesia perché anche a causa della sua posizione geografica, è diventata un punto di transito tra il Medio Oriente e le Filippine meridionali. La Malesia  è diventata la base perfetta per il reclutamento e il finanziamento di diversi gruppi jihadisti, alcuni dei quali affiliati all’ISIS. La presenza sul territorio di elementi affiliati a “al-Harakat al-Islamiyya” piu’ conosciuto come “Abu Sayyaf”, del “Fronte di Liberazione Islamico Moro”, del “Daulah Islamiyah” o “Gruppo Maute”, oppure alla “Jemaah Islamiyah” e di molti gruppi salafiti, hanno fatto scattare l’allarme rosso nei palazzi della capitale Kuala Lampur. Il capo della polizia malese Mohamad Fuzi Harun, ha reso noto che molti jihadisti di ritorno dal “Siraq”, vedono di buon occhio il trasferimento in Malesia; Molti militanti hanno in programma di sposare donne locali per ottenere visti permanenti che gli consentano di vivere in Malesia. Qui possono utilizzare le efficienti strutture dello Stato e investire nel mondo degli in affari”. Quindi anche l’ex colonia britannica malese, si confronta da tempo con il fenomeno dell’estremismo islamico. I movimenti che si rifanno al Jihad armato sono attivi fin dall’inizio degli anni Sessanta e, per questo, si sono scontrati con la feroce repressione dello Stato. Secondo il direttore del “Fronte islamico del Rinascimento” (IRF), Ahmad Farouk Musa, la dottrina rigorista islamica dei Salaf al-salihin (“i pii antenati”) – che è stata plasmata dagli autori e studiosi della SunnaAhmad Hanbal (XIX secolo), Ibn Taymiyya (XIII secolo) e Muḥammad Abd al-Wahhab (XVIII secolo) – “non è da ritenersi estrema perché “il salafismo propaga un Islam tollerante ed è diffuso anche negli ambienti governativi. Questa è un’ideologia che garantisce la supremazia delle élite al potere” Affermazioni quantomeno discutibili, che fanno a pugni con una realtà che vede continue operazioni antiterrorismo nel Paese che hanno portato solo tra il 2013 e il 2018 1.000 arresti per terrorismo. Ci sono poi le stime sul numero di combattenti malesi organici all’ISIS che parlano di circa 150 unità. Un numero importante, dunque, quasi pari a quello indonesiano, tenendo presente che la popolazione della Malesia è appena un decimo di quella dell’Indonesia. In altre parole, i malesi affascinati dall’ISIS sono proporzionalmente più degli indonesiani.

In ogni caso, in Malesia il clima politico e sociale è molto pesante e non da oggi. Già nel 2013, il Pew Global Attitudes Survey informava che un quarto dei musulmani malesi (27%) riteneva che gli attacchi ai civili «siano talvolta o spesso giustificati». A questi, si aggiungeva un 12% degli intervistati secondo cui «la violenza è giustificata raramente in difesa dell’Islam». Sommando i dati della ricerca, emergeva dunque come il 40% circa dei musulmani malesi intervistati pensasse che la violenza possa essere in qualche modo giustificata contro i nemici dell’Islam. Oggi non sembra diminuito il sostegno all’Islam radicale da parte della popolazione, considerate le manifestazioni di piazza traboccanti di manifestanti furibondi, che chiedono a gran voce l’introduzione della Sharia in Malesia. A questo vanno aggiunte le attività di milizie come la Jawi, che si occupano della “prevenzione del vizio” facendo cose come irrompere in gruppo negli hotel o nei ristoranti nel giorno San Valentino, a caccia di coppie di amanti etero od omosessuali da punire. Senza dimenticare il potentissimo dipartimento per lo sviluppo islamico della Malesia, l’onnipresente “Jakim”, che corrisponde a un’autorità religiosa che interviene su tutto: dalla censura dei libri al divieto di utilizzo della parole come “hot dog”. Il “dog”, in particolare, ossia il cane è considerate animale impuro per l’Islam; quindi è una parola che non si dovrebbe nemmeno scrivere. Nella lunga lista dei divieti, si trova anche la proibizione per i non musulmani circa l’uso della parola “Allah”. Non è quindi un caso che l’estremista Tedesco- palestinese Ibrahim Abou Nagie, fondatore del gruppo di predicazione salafita Die Wahre Religion – LIES!(messo fuorilegge in Germania e Austria per le sue attività di supporto ai gruppi terroristici), abbia scelto proprio la Malesia come nuovo epicentro dei suoi affari.

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