«I Gilet gialli sono ancora una minaccia» CdT 07.06.2019

Secondo uno degli autori del libro dedicato a questo movimento vi è il rischio contagio

Oggi alle 18.30 nella sala del Consiglio comunale di Lugano verrà presentato il libro «Chi sono i Gilet gialli» (Paesi Edizioni). Si tratta di un’analisi sul movimento di protesta che per mesi ha sconvolto la Francia. Alla conferenza, moderata dal consigliere nazionale Marco Romano, saranno presenti tre dei sei autori – Stefano Piazza, Luciano Tirinnanzi e Daniel Mosseri – nonché il direttore responsabile del Corriere del Ticino, Fabio Pontiggia, che ha firmato la prefazione. Sui contenuti del libro abbiamo rivolto alcune domande a Stefano Piazza.

Come è nata l’idea di scrivere un libro sui Gilet gialli? 

«L’idea è venuta a me, in quanto sin dai primi disordini ho iniziato a raccogliere video e testimonianze perché volevo capire cosa stava succedendo. A un certo punto ho proposto al mio editore, Luciano Tirinnanzi, di scrivere un libro su questo fenomeno. Si trattava di farlo rapidamente. Abbiamo così riunito alcuni colleghi per preparare lo scritto. La motivazione di fondo del nostro libro è quella indicata dal direttore responsabile del CdT, Fabio Pontiggia, nella prefazione: «Conoscere per scongiurare». È infatti importante capire queste dinamiche perché si potrebbero presentare anche in altri Paesi europei. Come ad esempio l’Italia dove, se dovessero avverarsi degli scenari economici particolarmente foschi, dei quali si parla in queste ore, non è detto che non si sviluppino delle proteste di questo genere. Del resto negli anni passati vi era già stato il movimento dei forconi».

Nel primo capitolo del libro Luciano Tirinnanzi afferma che oggi come agli inizi del Novecento assistiamo a uno scontro tra l’alleanza del capitale produttivo e del lavoro da un lato e la finanza speculativa che ha egemonizzato l’economia fino a controllare gli Stati. Ha l’impressione che vi sia questa consapevolezza da parte dei Gilet gialli?

«Il fenomeno dei Gilet gialli è molto curioso, credo comunque che coloro che possono identificarsi con questa lettura non siano molti. È chiaro che le motivazioni che hanno spinto migliaia di persone a scendere in piazza per spaccare tutto possano essere anche queste. I Gilet gialli usano questo tipo di giustificazioni, ma secondo me sono state loro suggerite da una certa schiera di intellettuali. Va ricordato che all’inizio delle proteste alcuni intellettuali e scrittori erano rimasti folgorati da questo movimento e avevano cercato di dare una sorta di copertura intellettuale-ideologica a una protesta che poi abbiamo visto si è trasformata fondamentalmente in un fenomeno delinquenziale. Del resto gli stessi intellettuali che inizialmente si erano appassionati al movimento di protesta, quando poi hanno capito a chi avevano dato una sorta di legittimazione, hanno ritirato il loro sostegno e sono spariti».

Oltre all’annunciato aumento delle accise sui carburanti cosa ha contribuito a scatenare la protesta su vasta scala che da sabato 17 novembre 2018 si è protratta per mesi con cadenza settimanale?

«Nel capitolo in cui ho intervistato il politologo Alexandre Del Valle lui parla di un Paese fratturato che negli ultimi anni è cambiato molto, con quartieri che sembrano appartenere all’Africa piuttosto che alla Francia. La crisi economica poi non aiuta. Ecco così che con la protesta dei Gilet gialli abbiamo assistito allo scontro della provincia contro la capitale. Quindi lo scontro tra poveri e ricchi, tra popolo e centri di potere. Tutta questa rabbia è stata poi fatta esplodere attraverso l’uso dei social network che hanno fatto da cassa di risonanza e alla fine è esploso tutto. Si tratta dunque di un fenomeno molto francese che affonda le proprie radici in un disagio profondo».

Alle manifestazioni dei Gilet gialli hanno partecipato persone di diversa estrazione sociale. Non è ingiusto accollare a tutto il movimento la responsabilità delle violenze che hanno fatto da cornice alle proteste?

«Il momento fatale che ha fatto deragliare la protesta si è avuto quando le manifestazioni sono arrivate nella capitale con l’entrata in scena dei cosiddetti casseur che hanno impresso alla protesta una linea incentrata su devastazioni di tipo criminale. Attribuire la responsabilità di quei tragici fatti a qualcuno che faceva parte del movimento o che è arrivato dopo è sempre complesso. Sta di fatto che i casseur si sono inseriti nelle manifestazioni e non c’è stata una differenziazione da parte di coloro che potevano definirsi Gilet gialli moderati. A un certo punto le cose sono precipitate e oggi è difficile fare una suddivisione delle responsabilità. Va comunque ricordato che nei disordini vi sono stati più di 1.500 poliziotti feriti, molti dei quali in modo grave: vi è chi ha perso un arto, chi un occhio e via dicendo. Per cui a pagare le conseguenze di questa follia sono state soprattutto le forze dell’ordine, mobilitate da un Governo che non ha saputo gestire questa emergenza».

In sei mesi di mobilitazione si è passati da 282.000 manifestanti in tutta la Francia, il 17 novembre del 2018, ai 15.500 di metà maggio. Rappresentano ancora una minaccia i Gilet gialli?

«È chiaro che alla lunga il numero di manifestanti si è fortemente ridotto, tuttavia questa minaccia non si può considerare esaurita. Anche perché sabato prossimo i Gilet gialli potrebbero riunirsi e incendiare per sbaglio un’automobile, la cui esplosione potrebbe causare morti e feriti. Per cui, finché ci saranno delle persone che si riuniscono con l’obiettivo di sovvertire l’ordine pubblico, sfasciare tutto e incendiare delle auto, è chiaro che rappresentano un pericolo».

Alle Europee i partiti vicini ai Gilet gialli hanno raccolto, complessivamente, meno dell’1% dei voti. Una conferma del fallimento della rivolta? 

«I Gilet gialli non vanno a votare perché sono persone a cui non importa nulla dello Stato; a loro basta contestare il potere e non vedono nel ricorso al voto un modo per cambiare le cose. Chi ha tentato di strumentalizzare la loro protesta, dalla signora Le Pen al leader della sinistra radicale Mélenchon, non ha avuto un grande giovamento osservando i flussi elettorali. Mentre coloro che volevano farsi portatori delle idee dei Gilet gialli, come ha detto lei, hanno raccolto poco. Sotto l’aspetto politico si tratta dunque di un grande fallimento.

a cura di Osvaldo Migotto

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