Chi ha avuto il tempo e la pazienza di seguire in diretta televisiva l’ultimo discorso al Senato del presidente del Consiglio della Repubblica italiana Giuseppe Conte, ha assistito a una scena a dir poco surreale. L’avvocato degli italiani (così Conte ama definirsi) ha tenuto un lungo discorso nel quale ha provato a difendere, peraltro senza molta convinzione, il ministro degli interni Matteo Salvini dal cosiddetto caso «Moscopoli». Lo spettacolo offerto agli italiani però è stato sconfortante visto che i parlamentari del Movimento 5 stelle hanno abbandonato l’aula su imput del loro capo politico Luigi Di Maio infastiditosi per l’ennesima marcia indietro sulla TAV. Prima c’erano state quelle sulla TAP, il decreto sicurezza 1 e 2, Alitalia, il ponte Morandi e la revoca alla società di gestione di Autostrade, l’Ilva che a settembre potrebbe chiudere, senza contare i molti tavoli di crisi nelle aziende italiane che vengono gestiti su Facebook e non nelle sedi delegate. Il movimento politico fondato dal comico Beppe Grillo e dalla Casaleggio & Associati non smette di stupire per l’inadeguatezza dei suoi rappresentanti che continuano a rimediare figuracce sia a livello locale sia nazionale passando da un pasticcio all’altro senza mai interrogarsi o recitare il mea culpa. Dopo la comunicazione in Senato del premier Conte che è espressione del M5Stelle, Luigi Di Maio ha annunciato una nuova mozione in Parlamento per fermare la TAV che è stata bocciata sonoramente al Senato il 7 agosto. Tutto questo è accaduto mentre a Bruxelles hanno già ricevuto la lettera del Ministero delle infrastrutture nella quale l’Italia conferma il suo sì all’opera! La ciliegina sulla torta ancora una volta l’ha messa il ministro Danilo Toninelli non firmando il documento che è stato siglato solo dai suoi funzionari. Nemmeno il tempo di smettere di ridere ed è arrivato un nuovo capolavoro stavolta firmato da Luigi Di Maio (ormai si è incollato alla poltrona) che con un video ha annunciato il «mandato zero» ovvero «l’elezione che non vale» studiata (per il momento) solo per i consiglieri comunali che così potranno ricandidarsi per tre volte superando il dogma degli esordi dei cinquestelle. A Torino molti di coloro che compongono la truppa pentastellata in Consiglio comunale che continua a litigare con la sindaca Chiara Appendino, amatissima a Milano visto che con tutti i disastri che combina scappano tutti a Milano, non hanno un mestiere e il 100% del loro reddito deriva dal gettone di consigliere. In pratica si tratta di professionisti della politica che fino a poco tempo fa gridavano «onestà, onestà» promettendo che non avrebbero toccato un soldo dei cittadini. L’intento è chiaro: dopo i consiglieri comunali ci sarà il mandato zero anche per lo stesso Di Maio, per deputati e senatori che oggi fuori dalle aule faticherebbero, per quanto visto, a trovare un impiego. Chi assumerebbe uno come Danilo Toninelli o lo stesso Di Maio oppure Laura Castelli o uno come Manlio Di Stefano?
Comunque sia in qualsiasi altro Paese del mondo visto quanto accaduto al Senato e alla Camera, il presidente del Consiglio da molti sottovalutato (ma che sa leggere le carte e sa far di conto), avrebbe rassegnato le dimissioni aprendo la strada alle inevitabili elezioni politiche, anche perché è innegabile che il contratto di governo che unisce le due forze politiche non vale più nulla. Non c’è un solo argomento sul quale ci sia uno straccio di accordo: autonomie regionali, legge di bilancio, la flat tax, lo sblocco dei cantieri dei quali l’Italia ha dannatamente bisogno, le decisioni su TAV, TAP e Ilva senza contare il posizionamento dell’Italia in politica estera. Con chi sta l’Italia, con la Russia o con la NATO e gli USA? Oppure con tutti e due magari a giorni alterni? E sul Venezuela del tiranno Maduro? E come si pone nei confronti della Cina di Xi Jinping? Con la cautela di Matteo Salvini o con il trasporto estatico di Luigi di Maio per colui che in Cina chiamò «signor Ping»? Dei festeggiamenti del settembre 2018 del vicepremier e ministro dello sviluppo economico e ministro del lavoro Luigi Di Maio, che attorniato dai suoi colleghi esultava dal balcone di Palazzo Chigi per l’approvazione della «manovra del popolo» poi ricalibrata dopo le bastonate arrivate da Bruxelles, non è rimasto più nulla o quasi. Di Maio disse di «aver abolito la povertà»: vedendolo attovagliato in un lussuoso locale in Costa Smeralda si intusisce che almeno la sua l’ha abolita.
Un anno di annunci roboanti seguiti da timide smentite, da centinaia di video autocelebrativi e polemiche furibonde in seno alla maggioranza, consegnano uno straordinario Paese come l’Italia a un’irrisolvibile crisi politica, economica e ai tanti appuntamenti mancati con le istituzioni europee. Proprio quelle che di fronte a un piano straordinario per l’ammodernamento delle infrastrutture, come richiesto a gran voce dalla Lega, guarderebbero all’Italia con occhi certamente diversi. Invece dopo la penosa figura rimediata in Senato tutto è tornato come prima; gli alleati si insultano sui giornali e in televisione, mentre gli italiani boccheggiano in città o sono al mare. Prima o poi però qualcuno si accorgerà che aveva ragione Dostoevskij quando scrisse: «Colui che mente a se stesso e dà ascolto alla propria menzogna arriva al punto di non saper distinguere la verità né dentro se stesso, né intorno a sé e, quindi, perde il rispetto per se stesso e per gli altri».
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