Nelle carceri francesi ci sono 30mila detenuti radicalizzati, il 60% di loro uscirà entro il 2020 – Panorama 22.08.2019

di Stefano Piazza- Luciano Tirinnanzi

La situazione nelle carceri francesi è semplicemente disperata. Le prigioni sono iperpopolate e i de« tenuti sono ammassati uno sopra l’altro. La radicalizzazione impera e anche le condizioni igienicosanitarie sono spaventose, ecco il quadro della situazione». Non usa giri di parole Alexander Del Valle, politologo francese e profondo conoscitore delle problematiche legate al terrorismo islamico Oltralpe, per descrivere la situazione esplosiva nelle prigioni del Paese. Del resto la Francia, dopo Italia e Ungheria, ha il più alto tasso di sovraffollamento in Europa, con una capienza di poco più di 45 mila posti e una popolazione carceraria che sfiora i 60 mila detenuti. Infatti, se anche l’Italia guida la triste classifica europea delle prigioni più affollate, è Parigi a incarcerare più spesso: 104 persone ogni 100 mila abitanti, superando sia pur di poco il nostro Paese (100 su 100 mila). L’Italia ha 119 detenuti ogni 100 posti disponibili, la Francia 116,3. Secondo i dati dello Space Consiglio d’Europa 2018, inoltre, il numero di reclusi per ogni agente in Francia è pan al 2,6 per cento – cioè in piena media Ue – mentre in Italia è soltanto dell’ 1,6 cento. Tuttavia, Parigi ha un problema in più e di grandi dimensione: i numerosi terroristi islamici condannati, trenta dei quali usciranno entro la fine del 2019.

E una volta liberi che faranno? Difficile immaginare che trovino un impiego, visto che quasi nessuno vorrà dare lavoro o una seconda chance a un ex jihadista. Nel migliore dei casi, andranno a pesare sulle tasche dei contribuenti francesi, avvalendosi del sussidio statale. Nel peggiore, ricominceranno a tramare contro la società civile. Di certo, si aggiungeranno alle 30 mila persone a piede libero schedate dalla polizia francese con la lettera «Fiche S», a indicare i soggetti che potenzialmente minacciano la sicurezza dello Stato. Un sistema che, tuttavia, ha garantito scarsi risultati: la maggior parte degli attentatori che hanno colpito in Francia negli anni passati erano tutti schedati come «Fiche S». Del resto, è impossibile controllare un numero così elevato di persone, se si considera che per la sorveglianza di un solo individuo 24 ore al giorno servono almeno dieci agenti dedicati. Ma torniamo alle carceri.

Per sensibilizzare il governo francese su salari e sicurezza del personale, nel gennaio 2018 le ma; ori sigle sindacali dei funzionari che operano negli istituti penitenziari hanno indetto un clamoroso sciopero durato nove giorni. Da allora, poco è cambiato: le guardie carcerarie continuano a denunciare aggressioni da parte dei detenuti, in particolare degli islamisti, che in carcere riescono a trovare – e nascondere – telefoni cellulari e persino armi. Dopo che nel 2017, a Osny, un prigioniero radicalizzato è riuscito ad aggredire una guardia con un coltello che aveva sagomato da solo, il 2018 si è aperto con un’ondata di attacchi, iniziati l’11 gennaio nel carcere di Vendin-le-Vieil (nord della Francia): qui uno dei più pericolosi jihadisti di Al Qaeda, il convertito tedesco Christian Ganczarski, ha quasi ucciso tre agenti a colpi di coltello. Da quel momento, è iniziato uno stillicidio di aggressioni per i 28 mila agenti di custodia francesi, che non si è fermato nemmeno nel 2019 (lo scorso marzo, a Conde-sur-Sarthe, la moglie di un jihadista è riuscita a nascondere una lama sotto il niqab per consegnarglielo) e che pare a questo punto, senza fine.

Pugni in faccia, distorsioni e lussazioni sono all’ordine del giorno per chi lavora nelle carceri francesi per circa 1.200 euro al mese. Ne sia testimonianza quanto dichiarato da un anonimo agente di custodia alla stampa francese: «Prima, ogni mattina avevo paura di trovare qualcuno appeso nella sua cella. Sapete di cosa ho paura oggi? Di essere ammazzato, spogliato, pugnalato alla schiena. In nome dell’islam e dell’Isis. “Tutti i giorni, andando al lavoro, questa paura mi fa star male». Un timore comprensibile: dal gennaio 2015, cioè dall’attentato al giornale satirico Charlie Hebdo a oggi, il numero dei detenuti che hanno aderito alla versione più estrema dell’islam politico, è letteralmente esploso: se allora erano 700, nel 2016 se ne contavano 1.336 e ora, secondo fonti del ministero della Giustizia, sarebbero addirittura 3 mila. A loro si devono però sommare le dozzine di nuovi adepti che, ogni mese, si radicalizzano grazie a sedicenti imam che spuntano come funghi nelle carceri francesi. Neanche di fronte a questi numeri tragici, la reazione dell’Eliseo è stata particolarmente incisiva: lo stesso ministero della Giustizia, ad esempio, continua a indicare quale problema principale solo (o quasi) il sovraffollamento e le pessime condizioni igieniche. Forse contribuisce a questa cecità il perdurare del «politicamente corretto», un atteggiamento insensato di fronte al terrorismo ma che da sempre domina le istituzioni francesi, impedendo loro di analizzare – e intervenire prontamente – sul problema dell’islamismo dilagante nelle prigioni di Stato.

Addirittura, secondo Le Parisien. è in corso una sperimentazione choc in tre istituti penitenziari (Digione, Meaux e Nantes) dove i carcerati vengono dotati di tablet e computer per svolgere non meglio precisate «attività all’interno dei penitenziari», eccezion fatta – si spera per la libera navigazione con internet. Ma i detenuti sono già «connessi». Secondo Alexander Del Valle «nelle nostre carceri entra di turno. Armi, droghe, cellulari e libri con testi estremisti. Gli islamisti possono fare ciò che vogliono, comunicano tra loro attraverso cellulari, anche con l’esterno. Accade perché troppo spesso sono intervenute personalità del mondo sindacale legate alla sinistra politica che hanno stigmatizzato i fatti.

Gli islamisti conoscono alla perfezione i meccanismi delle nostre democrazie e s’insinuano in ogni spazio che viene loro concesso. E ne approfittano. Se si pensa che, entro il 2020, il 60 per cento dei jihadisti detenuti nelle carceri francesi riacquisterà la libertà, c’è davvero da preoccuparsi». In definitiva, anziché rivedere le politiche carcerarie tenendo conto del rischio islamista, il governo francese oggi punta a «comprare la pace» degli agenti con piccoli aumenti di stipendio ed esperimenti volti a reintegrare gli islamisti in una vita «normale» nella società civile. Ci riuscirà?

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