L’ormai annosa guerra in Libia ha visto una tregua nei giorni dell’Id al Adha, la Festa del sacrificio, momento nel quale l’Islam si ferma per ricordare il sacrificio del figlio di Abramo. Poi «passata la festa e gabbato lo santo», le fazioni contrapposte hanno ricominicato a scannarsi con sempre maggiore intesità. La comunità internazionale ha sperato a lungo che gli italiani, gli unici che capiscono qualcosa di questo tormentato Paese, potessero fermare i massacri, ma così non è stato. In verità Roma da mesi non tocca palla sullo scacchiere internazionale dopo aver sbagliato tutto quello che si poteva sbagliare nel rapporto con l’UE, sulla Libia, sul Venezuela e persino nel rapporto con il gigante cinese, che essendo stato gestito in maniera amatoriale ha mandato in crisi le relazioni con gli americani e persino con i russi.
L’Italia era alle prese con una delle più surreali crisi di governo mai viste nella storia della Repubblica. Le possibilità di occuparsi di road map e di un cessate il fuoco in Libia erano quindi praticamente nulle. Mentre la comunità internazionale si disinteressa dei combattimenti che si sono estesi al deserto del Fezzan, finora solo sfiorato dalla guerra, si assiste all’impressionante aumento dei voli con rotta Ankara-Tripoli e Abu Dhabi-Bengasi. I turchi, con l’appoggio del Qatar quindi della Fratellanza musulmana, riforniscono le milizie del Governo di accordo nazionale (GNA) di Fāyez Muṣṭafā al-Sarrj con veicoli corazzati, mitragliatrici, fucili di precisione, missili anticarro, aerei e droni. A gestire il traffico delle armi dirette al GNA ci pensano le milizie armate tra le quali spicca la al-Samoud, comandata da Salah Badi messo sulla lista nera dalle Nazioni Unite già nel 2015 e dal Dipartimento del tesoro americano nel 2018. A proposito delle milizie schierate con Haftar oppure con Serraj e quelle autonome che gestiscono ogni genere di traffici illeciti, in primis quello di esserei umani, si è ormai perso il conto dopo che ne sono state censite almeno 300.
Sull’altro fronte, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti e l’Egitto di Al Sisi armano l’Esercito nazionale libico (LNA) di Khalifa Haftar, nemico giurato della Fratellanza musulmana, con tutto quello che gli necessita ed in particolare con i droni cinesi Wing Loong II UAV del tipo Medium-Altitude Long Endurance (MALE), che nella sua seconda versione è aumentato nelle dimensioni e nel carico tanto da trasportare fino a 12 missili aria-superfice Blue Arrow 7 sempre di fabbricazione cinese. Già nel 2016 gli Emirati Arabi Uniti per dare supporto a Haftar avevano edificato la base aerea di Al Khadim, dove un tempo sorgeva l’aeroporto della provincia di Al Marj (est della Libia) e dove ora sono stati dislocati oltre ai droni Wing Loong, anche molti velivoli Air Tractor 802U. Si tratta della versione armata dell’aereo agricolo monomotore a turboelica ad ala dritta, dotata di abitacolo corazzato, motore corazzato, tettuccio antiproiettile, serbatoi corazzati e rinforzi strutturali per il trasporto di 4.100 kg di carico utile. Secondo il CESI (Centro di studi internazionali) Pechino è il terzo produttore mondiale di droni con 88 modelli esportati in 13 Paesi diversi tra il 2008 e il 2017, gli israeliani con 186 modelli si trovano al secondo posto mentre svettano gli USA con 351 modelli.
Come si spiega in Medio Oriente la corsa all’acquisto di droni cinesi nonostate i leader mondiali nel settore UAV siano ancora gli americani? Prima di tutto i produttori USA devono fare i conti con le loro leggi che impediscono la vendita di UAV in molti Paesi (specie nel Medio Oriente), mentre i cinesi, incuranti delle conseguenze, vendono i loro prodotti in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Iraq, Giordania ed Egitto. C’è poi la questione economica come sempre non secondaria: i cinesi propongono i loro droni ad un prezzo inferiore del 50% arrivando in alcuni casi al 75% in meno rispetto ai prodotti made in USA. Attualmente il livelo tecnologico dei droni made in China non è ancora paragonabile a quello degli americani, tuttavia, una volta colmato il divario e potendo mantenere i prezzi bassi, la Cina aumenterà sensibilmente il proprio potere nella regione.
D’altronde, come fare a vincere, i cinesi lo sanno da tempo. Il generale Sun Tzu nel celebre L’arte della guerra, scrisse: «Il meglio del meglio non è vincere cento battaglie su cento, bensì sottomettere il nemico senza combattere».
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