L’impressionante cavalcata della finanza islamica.

La finanza islamica ha iniziato a svilupparsi subito dopo la seconda guerra mondiale in Egitto, paese dove iniziarono a interrogarsi sulla possibilità di poter costruire un sistema finanziario compatibile con le strette regole dell’islam. Cosi’ dopo lunghe analisi nacque nel 1963 per volere dell’economista Ahmad Al-Najjar, la Cassa Rurale di Risparmio “Mit Ghamr” che aveva come clienti privilegiati le piccole imprese e privati. Il salto di qualità della finanza islamica avvenne nel 1979 con la rivoluzione islamica iraniana che porto’ al potere l’ayatollah Ruḥollāh Moṣṭafāvī Mōsavī Khomeynī. La Guida suprema dell’Iran (dal 1979 al 1989 anno della sua morte), tra le molte cose che stravolse ci fu anche il sistema bancario iraniano che venne trasformato in modo da obbedire ai rigidi dettami della “Shari’ah” la legge islamica.

L’esempio di Teheran venne seguito nel 1980 dal Sudan e dal Pakistan che aprirono la strada agli altri paesi islamici. Secondo il Prof. Paolo Pietro Biancone autore del libro La banca islamica” il settore della finanza islamica raggiungerà nel 2020, i 6.7 trilioni di dollari USA di giro d’affari mentre secondo i dati al 2018 le 300 banche islamiche sparse in giro per il mondo, gestiscono già piu’ di 260 miliardi di dollari. In Europa è la Gran Bertagna la nazione dove si è piu’ sviluppata la finanza islamica che è approdata nel 2004 a Londra con la Islamic Bank of Britain (IBB). Visto il successo ottenuto nel paese della Regina Elisabetta, sono sbarcate sulle rive del Tamigi l’The European Islamic Investment Bank, The Bank of London and The Middle East, l’European Finance House e la Gatehouse Bank. A quel punto viste le possibilità di business, molte banche internazionali hanno aperto all’interno dei loro uffici degli sportelli chiamati “islamic windows” ( finestre islamiche), dedicate ai potenziali clienti musulmani. Anche in Italia ci stanno pensando ma i problemi normativi da superare frenano per il momento, l’operazione.

“Vietato il tasso di interesse (ribà) accompagnato dal principio della condivisione del rischio e del rendimento. Vietata la speculazione e l’utilizzo di strumenti che portino incertezza nei mercati. Proibiti gli investimenti legati al tabacco, al commercio di armi, all’alcol, al gioco d’azzardo e alla pornografia”.

Impressionante il dato del 2018 della “Al Rayan Bank” con sede sempre in Inghilterra; il 90% dei nuovi clienti che hanno aperto dei conti bancari non sono di religione musulmana. Le obbligazioni che vengono trattate dalla finanza islamica si chiamano “sukuk”. In Europa questo strumento finanziario arrivo’ nel lontano 2004 nel Lader della Sassonia-Anhalt che lanciò la prima emissione da 123 milioni di dollari, mentre dal 2006 sono stati quotati alla borsa di Londra. Ma di che si tratta ?  Secondo la professoressa Federica Miglietta dell’Università di Bariil sukuk assomiglia a un’obbligazione per la forma dei flussi: c’è un reddito costante pagato a scadenze definite, come i flussi cedolari. Contemporaneamente ha alcune caratteristiche da titolo azionario, perché l’investitore ha diritto al rendimento solo se il bene sta rendendo effettivamente, cosa che con le obbligazioni non succede”. A proposito di sukuk nel 2016 erano il 17% del settore tanto che sono stati emessi titoli per 88 miliardi di dollari mentre secondo Moody’s a fine 2018, la cifra è schizzata a 148 miliardi di dollari. Anche in Svizzera il paese delle banche per eccellenza, la finanza islamica è attiva fin dal 1981 anno nel quale venne fondata “La Dar al-Maal al-Islami Trust” (La casa del denaro islamico) diventata una delle principali istituzioni finanziarie islamiche globali. La DMI Trust (1.400 dipendenti) opera con le sue filiali in quattro continenti e gestisce un patrimonio di 3.6 miliardi di dollari, si è scelta uno slogan di sicuro impatto: “Allah is the purveyor of success”- “Allah è il fornitore del successo”. Inoltre la DMI Trust gestisce la Faisal Islamic Bank, società di investimento con filiali in Bahrain, Egitto, Pakistan, Qatar e Emirati Arabi Uniti. C’è poi la Dar al-Baraka (la casa della benedizione) creata dallo sceicco Saleh Abdullah Kamel su richiesta del Re dell’Arabia Saudita del quale è cognato. La banca è diventata con il nome Islamic Development Bank, la principale banca islamica mondiale. E l’Italia ? Nel 2017 l’Onorevole Maurizio Bernardo all’epoca Presidente della Commissione Finanze per il Partito Democratico, presento’ una proposta di legge che proponeva il via libera sui mercati finanziari italiani dei sukuk , e degli altri strumenti della finanza islamica. Al momento la proposta non ha avuto successo tuttavia, partiti come il MoVimento 5stelle seguono il settore con grande interesse. Non a caso la Sindaca pentastellata della Città di Torino Chiara Appendino, dal 2014 ha aperto le porte delle sua città alla finanza islamica con il  TIEF “Turin Islamic Economic Forum” che anche quest’anno, si terrà sotto la Mole dal 28 al 30 Ottobre 2019. Le perplessità italiane sono dovute non solo a questioni normative; i problemi sono anche di sicurezza nazionale un tema che il quotidiano finanziario “Il Sole 24Ore” ha piu’ volte sottolineato.

 La parte oscura della finanza islamica

Nel 2012 al Senato degli Stati Uniti all’epoca ancora scossi fin nelle loro fondamenta dagli attentati dell’11.09.2001, venne presentato un rapporto nel quale venivano descritte le attività criminali della banche saudita Al Rajhi Bank. La banca raccoglieva le incontrollabili donazioni islamiche dette “zakat” che finivano poi a gruppi terroristici. Il caso della Al Rajhi Bank non è rimasto isolato; gli americani nel tempo hanno messo sotto accusa la Al Shamal Islamic Bank fondata in Sudan e che tra i suoi fondatori contava Osama Bin Laden ( la banca divenne National Commercial Bank in Arabia Saudita), la banca giordana Arab Bank piu’ volte citata nelle cronache, la Islami Bank Bangladesh Limited, la Jammal Trust Bank l’iraniana Bank Melli (cassaforte degli Hezbollah) e la Bank Saderat sempre iraniana, sospettata di essere utilizzata dal regime di Teheran per finanziare i gruppi estremisti.

L’islamicamente corretto che frena i controlli

Come provato da centinaia di indagini  in tutto il mondo, la “zakat” è il sistema privilegiato per finanziare il terrorismo islamico. Queste enormi masse di denaro  finiscono nelle disponibilità dei gruppi estremisti attraverso le banche islamiche che possono operare senza doversi curare dei controlli delle autorità di vigilanza. Queste ultime vengono preventivamente terrorizzate a dovere dal pensiero “islamicamente corretto per il quale qualsiasi domanda o controllo sulle attività islamiche, offenderebbe i musulmani e il Corano. Il timore di scatenare reazioni di massa nei paesi islamici paralizza ogni possibile verifica sulle istituzioni finanziarie musulmane che operano in una sorta di totale autoreferenzialità. Ci sono poi le pressioni delle potenti lobby islamiche ed in particolare quelle legate alla Fratellanza musulmana, a far desistere chi vorrebbe entrare nel merito delle attività finaziarie islamiche globali. A chi dice che non si puo’ fare nulla occorre ricordare che per fermare i finanziamenti al terrorismo, basterebbe effettuare controlli sul sistema dello zakat e sulle banche islamiche che continuano a crescere indisturbate. Per farlo servirebbero volontà e coraggio. Al momento non pervenute.

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