di Stefano Piazza- Luciano Tirinnanzi
Organizzazioni come Furkan e Ditib, nate nel Paese-cerniera tra Europa e Medioriente, si sono insediate a Berlino, Amburgo, Colonia, Monaco di Baviera. E l’accusa che gli viene rivolta dai servizi d’intelligence è grave: formerebbero potenziali estremisti islamici che, con appoggi capillari, sono pronti a colpire.
Secondo l’ultimo rapporto dei servizi segreti tedeschi, l’estremismo islamico in Germania è in crescita a causa di gruppi di predicazione salafita, la dottrina fondamentalista che predica la Sharia e il ritorno al Califfato. In particolare, a preoccupare gli inquirenti è il gruppo di derivazione turca denominato«Furkan», fondato in Turchia nel 1994 dall’estremista e ingegnere civile Alparslan Kuytul Hocaefendi ( nella foto sopra), che dal gennaio 2018 si trova in isolamento in un carcere turco di massima sicurezza per «affinità col terrorismo», nonostante l’arresto sia avvenuto senza che fossero rese note le accuse a suo carico. Tra i suoi seguaci, secondo l’intelligence di Berlino, si anniderebbero futuri potenziali terroristi, parte dei quali sarebbe già in attività. Come dimostra l’attentato sventato lo scorso 18 luglio a Colonia, che ha portato a sei arresti in flagranza di reato tra la Renania e la capitale Berlino. L’attacco avrebbe dovuto essere condotto utilizzando una sorta di «bomba biologica»a base diricina, un veleno molto potentee letale anche in piccole dosi,secondo modalità che non hanno precedenti in Europa, se si eccettua l’uso che ne faceva il Kgb durante la Guerra Fredda. Non è un caso tutto ciò. La Germania, infatti, ospita la più grande comunità turca d’Europa: dei tre milioni di cittadini turchi registrati all’estero, sono ben 1,5 milioni quelli che vivono stabilmente nel Paese e detengono ancora il passaporto turco. Ecco perché Furkanha iniziato a muovere i propri passi proprio in Germania nel 2011, attraverso la Fondazione del Centro di cultura e istruzione «Furkan e.V.»di Dortmund, collegata alla casa madre in Turchia. Le attività dell’organizzazione si concentrano proprio nelle città che vantano il maggio numero d’immigrati turchi:oltre a Dortmund, Amburgo, Berlino e Monaco di Baviera. La filiale di Amburgo ha anche una propria fondazione, la «Jugend, Bildung und Soziales e.V.». Dopo l’arresto di Kuytul, la Fondazione Furkan ha promossouna serie di manifestazioni che giustificano la guerra quale mezzo legittimoper liberare i Paesi musulmani dall’oppressione dell’Occidente. Il Bundesamt für Verfassungsschutz, l’Ufficio federale della protezione della Costituzione tedesco, perciò,li ha messi sotto ossservazione già dal 2016, e c’è chi ha ventilato l’ipotesi che il gruppo possa essere presto messo al bando per attività anti-costituzionali. Ciò nonostante, il movimento oggi vantaoltre 35 uffici in patria e all’estero; tiene un centinaio di conferenze l’anno, che sono seguite da oltre 200mila persone;dispone di un proprio canale televisivo (TV Furkan) ed edita la rivista Furkan Nesli Dergis.Molto forte anche la presenza sui social network e sui blog, dove la stessa moglie di Kuytul tiene una sorta di diario sulle condizioni di detenzione del marito. E i soldi? L’organizzazione sostiene che arrivano tutti esclusivamente da quote associative, donazioni, biglietti d’ingresso alle conferenze, ma né il governo di Berlino né quello di Ankara gli credono, visto che la Turchia stessa ha accusato il movimento di riciclaggio di denaro. Secondo Sigrid Herrmann-Marschall, analista di Francoforte specializzata nel monitoraggio di strutture e organizzazioni islamiche in Germania, la Fondazione Furkan «non opera in modo trasparente. A mio avviso, è in gran parte finanziata dalle donazioni dei sostenitori. E, proprio per questo,è difficile giudicare se il gruppo stia crescendo o meno. Ma è probabile che lo sia, e non solo qui in Germania. Poiché il ritorno alla religione a livello sociale è giudicato meno negativamente che negli anni precedenti, le persone sono pronte a dichiarare pubblicamente questa inclinazione. Ciò vale per la Germania come per la Turchia. Del resto, con l’avvento dell’AKP (ilpartito del presidente Erdogan, ndr), le norme religiose hanno avuto sempre più importanza presso la popolazione. Anche per questo,l’azione del governo turco tollera i gruppi estremisti nel loro rivendicare un ruolo attivo in campo religioso». Il problema, semmai, è quando tali attività trascendono dall’ambitore ligioso a quello politico. Furkan, per quanto ben strutturata, non è certo l’unica né la principale organizzazione islamica in Germania. La più grande di tutte è il DITIB, acronimo di Türkisch-Islamische Union der Anstalt für Religion. («Unione turco-islamica per gli affari religiosi»), ente fondato nel 1984 ad Ankara e considerato la longa manus del «Diyanet», il ministero del Culto turco. La sua sede è a Colonia,e da qui gestisce e controlla qualcosa come 900 moschee e ben 800mila iscritti. Negli ultimi anni, il DITIB è diventato un partner sempre più scomodo per il governo tedesco. Qualche esempio: ha boicottato la marcia contro il terrorismo di matrice islamista organizzata il 17 giugno 2017 a Colonia; è stato al centro dello scandalo degli «imam spioni» al servizio di Ankara, dodici dei quali sono fuggiti all’estero poco prima dell’arresto per aver schedato per anni cittadini turchi residenti in Germania, altri per aver violato la legge facendo campagna elettorale a favore del presidente in vista del referendum sulla Costituzione turca. Inoltre, ha destato scandalo nell’opinione pubblica la diffusione di un video girato nel 2018 che mostra bambini vestiti con uniformi militari e bandiere turche, intenti a ricreare scene di guerra e a gridare slogan inneggianti alla patria, sullo stile dei «leoncini dell’ISIS», i bambini-soldato della propaganda del Califfato. Non è tutto.Tra la fine del 2017 e l’inizio del 2018 sono venute alla luce oscure vicende che hanno visto direttamente i servizi d’intelligence turchi protagonisti in Germania, ma anche in Austria eSvizzera. Non è un segreto che migliaia di agenti segreti del MIT (Millî İstihbarat Teşkilâtı, «Organizzazione di Informazione Nazionale») siano stati inviati in Europa con il compito di schedare le attività dei turchi immigrati nei vari Paesi europei.
Infiltrati nelle comunità ricreative, del lavoro e nelle univesità, schedano abitualmente i partecipanti a convegni «sgraditi» ad Ankara, ad esempio come quelli sul genocidio armeno. Erich Schmidt-Eenboom, esperto d’intelligence, ha definito la struttura operativa dell’intelligence turca in Germania come «più grande di quella della STASI».In particolare, dopo il tentato golpe del luglio 2016 in Turchia, il MIT si sarebbe letteralmente scatenato in Germania: non solo pretendendo dalla BND (Bundesnachrichtendienst, i servizi segreti esteri della Repubblica Federale Tedesca, ndr) di ricevere «assistenza» nella caccia ai golpisti; ma intervenendo direttamente con rimpatri forzati – e illegali – di cittadini turchi invisi al governo. Non è una novità. Come riportato anche dal quotidiano Die Welt, negli ultimi dieci anni la Procura generale ha gestito almeno 23 casi, 17 dei quali solo negli ultimi due anni. «È quasi di routine che gli investigatori tedeschi vadano a caccia di agenti turchi. Questo a volte porta a procedimenti preliminari, ma raramente a condanne. Attualmente, il procuratore generale federale ha quattro procedimenti pendenti per sospetto di attività di servizi di spionaggio per l’agenzia di intelligence turca MIT» ha rivelato una fonte del giornale tedesco. Secondo l’Ufficio federale per la protezione della Costituzione, inoltre, alcuni giovani tedeschi di origine turca che hanno partecipato a concorsi pubblici per essere arruolati nella Polizia Federale o in altre istituzioni sensibili del Paese, sarebbero in «rapporti diretti» con il MIT.
Un eufemismo per sottolineare come vi siano non pochi infiltrati nelle istituzioni della sicurezza tedesche. Infatti, nessun altro servizio d’intelligence straniero è al centro delle indaginida parte delle forze di sicurezza tedesche come il MIT. Tutto cià, nonostante la Turchia sia un alleato della Germania e dell’Europa, in quanto parte integrante della NATO. Ma questa è un’altra storia.
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