di Fabio Pontiggia
Scriviamo queste righe con non poco disagio. Per due ragioni che collidono. Primo: perché riguardano una sentenza non ancora cresciuta in giudicato: e tutti sappiamo quanto sia opportuno attendere che le bocce siano invece ferme. Secondo: perché sono in gioco nostri importanti valori che quella sentenza sembra aver considerato distrattamente e superficialmente. Corriamo quindi il rischio. E speriamo che la giustizia non si fermi al primo gradino ma salga sul secondo, per iniziativa dell’accusatore privato o del procuratore pubblico.
I fatti. L’11 settembre di due anni fa un esponente dell’estremismo islamico da noi residente aveva minacciato di morte l’opinionista del nostro giornale Stefano Piazza per un articolo pubblicato in occasione dell’anniversario dei barbari attentati terroristici alle Torri gemelle (titolo dell’articolo: L’orrore dell’11 settembre tra realtà e complottismo). Con uno scritto inviato tramite Messenger, l’individuo aveva minacciato quanto segue (in un italiano sgrammaticato): «Buongiorno Signor Piazza. Con attenzione ho seguito i vostri articoli soprattutto quello di oggi sul 11 settembre […]. so che lei con il suo lavoro contro “l’islamismo” non farà molta strada ne la condurrà alla vittoria, anzi perderà. Per questo un messaggio da parte di un musulmano: ci conosca e parla con noi ma non ci combatta, altrimenti può fare la fine dei dipendenti di Charlie Hebdo (giustamente puniti con la morte)».
Con decreto d’accusa del 3 dicembre 2018 il procuratore pubblico aveva reputato l’estremista colpevole del reato di tentata coazione, per aver appunto tentato di costringere l’opinionista a omettere di pubblicare ulteriori articoli sul tema. L’imputato si era opposto. Nel processo in Pretura penale, celebrato pochi giorni fa, lunedì 3 febbraio a Bellinzona, il giudice ha prosciolto l’estremista musulmano, sostanzialmente perché mancherebbe la certezza dell’effetto della minaccia (Piazza ha continuato a scrivere articoli sull’estremismo islamico).
Come detto, è auspicabile che la vertenza non si fermi qui ma che il verdetto di prima istanza sia verificato in appello. Non entriamo nel merito degli aspetti strettamente giuridici, che non ci competono e che secondo lo stesso giudice sono complessi. Questo non ci impedisce di esprimere una profonda preoccupazione. La minaccia rivolta ad una persona che ha esercitato il diritto alla libertà di opinione, in termini civilissimi e corretti, è documentata. Lo stesso estremista non ha negato di aver scritto quelle parole. Che sono di una cruda chiarezza e di una inaudita violenza: «Puoi fare la fine dei dipendenti di Charlie Hebdo giustamente puniti con la morte». Non è stato un vuoto proclama in pubblico. È stato invece un messaggio indirizzato privatamente all’opinionista e, proprio per questo, molto più inquietante. C’è in quelle parole l’arroganza dell’estremista che pensa di poter perseguire i suoi fanatici disegni senza dover rispondere del suo comportamento liberticida davanti alla giustizia, tentando di mettere a tacere, con le minacce, chi osa impegnarsi in una battaglia di civiltà. E c’è anche l’inqualificabile apologia di un reato gravissimo compiuto contro giornalisti vignettisti che esercitavano liberamente il diritto alla libertà di espressione in un Paese civile e democratico come la Francia.
Ora, par di capire che, poiché l’opinionista non ha ceduto alla minaccia, cioè non si è piegato alla paura di subire gravi conseguenze per se stesso e magari anche per la sua famiglia, l’autore della minaccia è innocente visto che il suo tentativo non ha sortito alcun effetto. Il che significa anche un’altra cosa: e cioè che se l’opinionista avesse smesso di scrivere articoli sull’estremismo islamico, cioè se avesse rinunciato alla sua libertà di espressione e alla libertà di stampa, probabilmente l’estremista islamico sarebbe stato condannato, considerato che in tal caso la tentata coazione avrebbe sortito effetti concreti. Se non ti pieghi non c’è reato, se invece cedi, sì?
Non possiamo credere che la nostra giustizia funzioni e ragioni in questi termini e ci auguriamo vivamente che così non sia. L’estremista prosciolto in prima istanza non è un tipo qualunque. È un agente di sicurezza, seguace di un altro agente che aveva lavorato per la Argo1 e che era risultato essere un reclutatore di estremisti (fu condannato in via definitiva dai nostri tribunali). Non siamo in altre parole di fronte ad una ragazzata da reti sociali. Siamo in un ambiente viziato dal fanatismo in bilico tra legalità e illegalità e in ogni caso negatore dei nostri valori. Perciò il disagio nello scrivere queste righe è pari all’inquietudine che la sentenza della Pretura penale suscita in una democrazia come la nostra.