L’Indonesia dice no al rimpatrio dei suoi foreign fighters. Schierata con la decisione del governo c’è la piu’ grande organizzazione islamica.

Dopo un lungo dibattito accompagnato da furibonde polemiche il governo indonesiano ha rinunciato a proseguire nel progetto di rimpatrio dei foreign fighters detenuti nelle carceri o nei campi di prigionia sparsi tra la Siria e l’Iraq. La decisione vale non solo per gli oltre 250 detenuti stimati nella Siria settentrionale, ma anche ai 500 altri militanti e simpatizzanti che la Central Intelligence Agency ha localizzato in Turchia, in Medio Oriente e in Asia meridionale. La maggior parte dei detenuti tra i quali ci sono tantissimi bambini, vive in condizioni drammatiche ad al-Hol, un accampamento dove sono presenti 74.000 persone a circa 200 chilometri a est dell’ex roccaforte dell’ISIS di Raqqa (Siria). Qui cibo, acqua e l’assistenza sanitaria ormai scarseggiano, mentre l’Isis con i suoi militanti (donne e uomini), è sempre L’indonesia ’ forte. Il prof. Mahfud MD, ministro coordinatore per gli Affari politici, legali e di sicurezza al termine di un vertice con Agenzia nazionale antiterrorismo – la Badan Nasional Penanggulangan Terorisme (Agenzia nazionale antiterrorismo) il ministro per gli Affari religiosi e quello di Giustizia e Diritti Umani, prima di partecipare ad una riunione di gabinetto a porte chiuse con il presidente Joko “Jokowi” Widodo ha dichiarato ”Il governo e lo Stato devono garantire che 267 milioni di persone in Indonesia siano al sicuro dalla minaccia del terrorismo. Se questi combattenti terroristi stranieri (Ftf) tornassero, potrebbero diventare un nuovo virus terroristico in grado di minacciare quei 267 milioni di persone”. Secondo i dati della CIA, l’estremismo islamico negli ultimi anni ha trovato in Indonesia un luogo dove far nascere nuovi gruppi jihadisti legati sia all’Isis che ad Al Qaeda tanto che dal Paese sono partiti 689 foreign fighters diretti nel “Siraq”.  La decisione del governo indonesiano è sostenuta anche da Nahdlatul Ulama la piu’ importante organizzazione islamica moderata indonesiana e del mondo visto che che conta 90 milioni di membri. A tal proposito l’organizzazione religiosa che aveva fin da subito reso nota“la ferma opposizione a qualsiasi piano di rimpatrio per ex combattenti o sostenitori dell’Is” ha dichiarato;“Nu è contraria a far tornare i miliziani in patria perché contro gli insegnamenti del Corano e del vero islam, essi hanno deciso di andare a combattere una guerra santa all’estero”. Per quale motivo dovremmo preoccuparci se rimpatriare o meno 600 persone, se ciò può disturbare la tranquillità di 260 milioni di altre persone?” Il segnale che arriva dall’organizzazione islamica indonesiana è di straordinario valore tuttavia l’Indonesia, deve trovare il modo di combattere l’ideologia estremista islamica che dilaga soprattutto in alcune zone, come quella di Sumatra dove vige la Shari’a (la legge islamica) e dove le fustigazioni e il taglio della mano per chi commette un furto, sono ormai all’ordine del giorno.

Secondo J. Kristiadi analista politico senior presso il “Centre for Strategic of International Studies” (Csis) di Jakarta, intervistato da ad AsiaNews, il problema va affrontato non solo con l’approccio securitario o comunque repressivo; “Dobbiamo educare la nostra gente a diventare cittadinanza competente. Ogni cittadino indonesiano dovrebbe essere veramente consapevole e comprendere a fondo i propri diritti e doveri di cittadino. È mia opinione che i combattenti terroristi stranieri (Ftf) non sappiano che la loro scelta rappresenta una grave violazione della legge. A me sta a cuore il futuro della nostra nazione. L’Educazione civica non è solo cose ‘pratiche’ come la cerimonia dell’alzabandiera o cantare inni nazionali. Dobbiamo educare le persone alla vera natura del nazionalismo, a comportarsi come cittadini che amano il proprio Paese”.

Fonte AsiaNews

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