L’oftalmologo dell’ospedale di Wuhan, Li Wenliang, che fu tra i primi medici ad allertare il Governo cinese sulla diffusione del coronavirus, è morto. Il medico che aveva contratto il virus molto probabilmente da una paziente che aveva in cura per un glaucoma, già nel dicembre 2019 si era detto certo che i numerosi pazienti che cominciavano ad arrivare nell’ospedale di Wuhan avessero sintomatologie simili con coloro che vennero colpiti dall’epidemia della SARS (che tra il 2002-2003 uccise in Cina 349 persone).
Alla data nella quale scrivo più di 45 mila persone sono state infettate dal virus COVID-19. Tra loro, 1.115 persone sono decedute, una fuori della Cina. Secondo Li, troppi segnali andavano in quella direzione e così per avere qualche riscontro, si confrontò con alcuni colleghi in una chat di gruppo ma non appena lo fece venne fermato ed interrogato per ore in merito alle sue «attività illegali», ma non solo: fu anche obbligato a siglare un documento nel quale ammise «di aver fatto circolare informazioni allarmistiche». Per le autorità cinesi nemmeno il tempo di illudersi che con la destituzione di Li Wenliang avessero risolto il problema, che l’epidemia è esplosa tanto che il Governo ha dovuto ammetterne l’esistenza seppur tra molte reticenze. A quel punto l’oftalmologo di Wuhan, che diverrà la città simbolo del virus, è stato scagionato dalle false accuse e tornando a fare il medico fino ad ammalarsi lui stesso. Grazie al suo coraggio nell’esporsi pubblicamente sui social network dove ha raccontato la sua vicenda, sapppiamo come il Governo cinese invece che affrontare la crisi chiedendo subito aiuto, decise ancora una volta di stringere la morsa della censura anziché ammettere il disastro che ogni giorno che passa assume proporzioni gigantesche.
Come fermare il virus è materia che compete agli scienziati possibilmente con laurea non presa su Facebook o Google, ma resta la sensazione che la Cina di Xi Jinping sia ancora un gigante con i piedi d’argilla. Da una nazione impegnata nell’impressionante progetto globale della Via della seta che comprende anche numerose acquisizioni di aziende strategiche in tutto il mondo, è lecito attendersi ben altre risposte in patria e all’estero. Intanto in Cina le fabbriche chiudono e le città vengono messe in quarantena, mentre il virus si diffonde e miete altre vittime. Allora prima di firmare altre cambiali in bianco a Pechino almeno l’Europa farebbe bene a riporre la penna in un cassetto.
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