PUTIN E LA RIFORMA COSTITUZIONALE PER RIMANERE SEMPRE AL POTERE ( CdT 25.03.2020)

Che il presidente russo Vladimir Vladimirovič Putin, incarnazione dell’uomo forte al potere dal 7 maggio 2000, non avesse alcuna intenzione di godersi la meritata pensione lo si era capito da tempo. Ora però è arrivata anche la conferma ufficiale. Che la nuova svolta autoritaria mascherata da «riforma costituzionale per rinnovare la democrazia» stesse per compiersi, era chiaro da gennaio con le dimissioni in blocco dell’Esecutivo. La narrazione proposta dallo zar era quella che lui stesso non si sarebbe potuto più ricandidare alla guida del Paese, dando così in pasto all’opinione pubblica l’idea che volesse farsi da parte per consentire l’affermazione di altre figure alla guida della Russia. L’operazione studiata nei minimi dettagli dall’ex agente del KGB consisteva nell’apparire come l’uomo che si prepara ad uscire di scena garantendo comunque al Paese quella stabilità, trasparenza ed efficienza che nel regno putiniano non si sono mai viste data la corruzione e la deriva autoritaria diventate il marchio di fabbrica del regno putiniano che tanto piace anche alle nostre latitudini. Al contrario, con le dimissioni in blocco dell’Esecutivo, lo zar si preparava alla nuova svolta autoritaria che gli è necessaria visti gli innumerevoli fronti aperti in giro per il mondo.

La Russia, al netto della propaganda, non potrà mai essere un vero competitor economico globale di USA e Cina. Tuttavia, la presenza russa sullo schacchiere geopolitico mondiale si è fatta sempre più spericolata, allarmante ma anche drammaticamente costosa per le casse dello Stato russo. All’inizio dell’intervento militare in Siria, lo zar aveva affermato che i costi della guerra sarebbero stati inferiori a 500 milioni di dollari. Ma già a metà ottobre 2016, un anno dopo l’inizio delle ostilità, erano lievitati a poco meno di 1,5 miliardi di dollari. Dunque, il Cremlino spendeva all’epoca qualcosa come quattro milioni di dollari al giorno per mantenere in piedi il regime alawita. Poi nel 2017 l’investimento di Mosca si è ridotto notevolmente. Nei bilanci militari russi non è possibile trovare informazioni sui reali costi delle operazioni siriane. In ogni caso, si stima che si mantengano intorno ai 2,3 milioni di dollari al giorno: un esborso non più sostenibile nel 2020, considerata anche la recente apertura del fronte libico dove la Russia difende le forze guidate dal generale Khalifa Haftar, che non riesce ad avere la meglio sui tripolini e, proprio per questo, insiste a chiedere uomini e armi a Mosca. In caso di mancato accordo politico tra Bengasi e Tripoli, il Cremlino dovrebbe perciò pagare un prezzo non a lungo sopportabile, ma nonostante questo lo zar non molla la presa.

Altro azzardo è quello in atto con la Turchia di Erdogan. Putin ha anche fatto fallire il recente vertice dell’OPEC facendo crollare il prezzo del petrolio, con il risultato che si sono innescate dinamiche pericolose con l’Arabia Saudita, dove al comando c’è Mohammed Bin Salman, che ama la democrazia e la diplomazia quasi quanto lo stesso Putin. Inutile dire che l’impegno a tutto campo della Russia anche in Africa, come ad esempio in Mozambico, non piaccia per niente a Washington e Pechino, anche se la Cina vive una fase interna delicata che non gli consente, almeno per il momento, di alzare troppo la voce.

Per tornare alla finta svolta democratica dello zar, lo scorso 10 marzo la deputata Valentina Tereshkova, la prima cosmonauta donna nell’URSS, ha presentato una proposta di legge con un emendamento specifico: azzerare il conteggio dei mandati già esercitati da Putin, un po’ come hanno fatto i Cinque Stelle in Italia, che per restare incollati alle poltrone si sono inventati il «mandato zero». Dopo l’approvazione entusiasta del Parlamento russo, a decidere (si fa per dire) sarà il referendum popolare indetto per il prossimo 22 aprile. I cittadini della Federazione dovranno votare, o meglio approvare, la riforma istituzionale e costituzionale che sulla carta si presenta con «più poteri al Parlamento, al Governo, meno autorità al presidente» oltre alla possibilità di ricandidarsi. Così, fatti due conti, Vladimir Vladimirovič Putin resterà al Cremlino fino al 2036, quando avrà 84 anni. Sipario.

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