Nuovo orrore in Indonesia: bruciano viva una Transgender ma non verranno accusati di omicidio

Dopo le orribili immagini di una donna intenta a fustigare una ragazza sulla pubblica piazza nell’isola di Sumatra, dall’Indonesia suona un nuovo campanello d’allarme. La storia dell’orrore stavolta, riguarda la Mira una donna transgender di 43 anni che dopo essere stata bruciata viva da un gruppo di uomini, è morta dopo indicibili sofferenze all’Ospedale Regionale Koja, a nord di Giacarta. Prima di essere bruciata viva Mira è stata picchiata a sangue da cinque o sei uomini, tre dei quali sono stati fermati. Si tratta AP (27 anni), RT (24 anni) e AH (26 anni) che si sono difesi raccontando che “la donna avrebbe tentato di derubarli del portafoglio e di un telefono cellulare”. Dato che non c’è mai limite alla crudeltà umana Budhi Herdi Susianto, capo della polizia di Giacarta settentrionale, ha affermato “che i sospettati hanno accusato la donna di averli derubati e l’hanno cosparsa di benzina ma non intendevano bruciarla”. Inoltre la polizia indonesiana ha dichiarato “che non sosterrà accuse di omicidio nei confronti di sospetti che sono solo accusati di violenza fisica, un reato che prevede al massimo una pena di 12 anni di carcere” senza contare che potrebbero godere nel giro di poche settimane della libertà condizionata. Con il progressivo cambiamento della società indonesiana e la drammatica crescita dell’islam nella sua forma piu’ estrema, assumono sempre piu’ importanza i movimenti fondamentalisti e non solo quelli collegati direttamente all’Arabia Saudita che è bene ricordarlo, ha diffuso anche in Indonesia la dottrina wahabita-salafita facendo i danni che si possono immaginare. Oggi persino nei campus universitari agiscono i predicatori di Hizbut Tahrir Indonesia (HTI), Tarbiyah gruppo che ispira alla Fratellanza Musulmana, e altri gruppi salafiti che preoccupano sempre piu’ le autorità indonesiane. Nel febbraio 2018, la Sunan Kalijaga State Islamic University Yogyakarta (UIN) ha vietato il cadar (velo integrale) all’interno del suo campus, annunciando che avrebbe monitorato tutte le 41 studentesse che lo indossavano. Le studentesse inoltre “avrebbero dovuto frequentare sessioni di consulenza oltre a dover rimuovere il velo rinunciano alle loro ideologie radicali” La decisione ha suscitato violente proteste da parte degli imam ed è stata abrogata pochi giorni dopo, per poi essere tranquillamente reimplementata per gli studenti in arrivo nel semestre autunnale successivo anche se la situazione resta comunque molto tesa. Nel tempo in Indonesia si sono affermati  predicatori come Arie Untung che dopo essere stato uno dei volti dell’emittente MTV in Indonesia e che è seguito da 2,3 milioni di follower su Instagram, ha abbandonato i jeans e la pettinatura da star per diventare un predicatore islamico con tanto di tunica, barbetta e zucchetto in testa. Nell’operazione lo ha seguito anche la moglie Fenita Arie un tempo attrice di successo, che oggi indossa abiti islamici e assiste il marito nelle attività di predicazione. I due oltre ad organizzare festival di canti islamici, oltre a produrre i loro DVD, hanno fondato una scuola che propone programmi scolastici online (https://sekolahsamara.net/) nei quali l’islam che viene diffuso, è quello importato dall’Arabia Saudita con tuto cio’ che ne consegue.

Oggi in Indonesia non si contano piu’ le organizzazioni e i movimenti che in apparenza sostengono tutti di abbracciare la non violenza, ma che in realtà predicano l’odio contro i “miscredenti” e che vorrebbero che venisse applicata la legge islamica ovunque. Un esempio  di quanto viene veicolato da questi gruppi lo si trova su www.muslim.or.id  dove si afferma “che è vietato ai seguaci della Sunnah salutare per strada un non musulmano” E se capita il contrario ? Semplicissimo; “se un kafir inizia il saluto ricorda che i loro saluti sono ovviamente pieni di cattive preghiere per noi. Quindi rispondiamo wa ‘alaikum” (e così sia per te)”. Ovvvio che nel clima  di intolleranza e di oscurantismo che si respire nel Paese le minoranze e tutta la comunità LGBT siano ormai sotto costante attacco. A tal proposito Andreas Harsono, ricercatore di Human Rights Watch, nel commentare la tragica morte di Mira ha dichiarato che quanto accaduto «dovrebbe ricordare a molti indonesiani che le donne transgender meritano giustizia e pari diritti. Migliaia di donne transgender, uomini gay o donne lesbiche sono state umiliate in Indonesia negli ultimi anni» 

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