Francia Fuori Controllo (Panorama 01.07.2020)

di Stefano Piazza – Luciano Tirinnanzi 
La pace sociale in Francia è perduta. E i recenti scontri di Digione ne sanciscono il de profundis. Ma, ancor prima. ci sono stati gli Champs-Elysées violentati dai Gilet gialli. ll sovranismo incendiario di Marine Le Pen. Gli innumerevoli attacchi antisemiti. Il terrorismo stragista dell’Isis. Per non dire di quell’Islam politico che per decenni si è avvantaggiato del multiculturalismo. e che ormai è stato infiltrato da elementi radicali del tutto fuori controllo (ne fanno parte entrambe le fazioni che hanno dato vita alla guerriglia di Digione, per dire). II 10 giugno scorso lo Stato francese ha quasi rinunciato a contrastare le bande armate che hanno tenuto in ostaggio una città di 150 mila abitanti, per poco meno di una settimana. Prima di riprendere il controllo di Grésilles, quartiere del capoluogo della Borgogna e cuore antico di Francia, ci sono voluti quattro giorni di coprifuoco e l’intervento degli agenti del Raid, l’unità speciale della polizia (che corrisponde più o meno alla Swat americana). Questo dopo che una fazione di ceceni si è ferocemente scontrata a colpi di machete e fucili semiautomatici contro una fazione di marocchini, per il controllo delle piazze di spaccio. Non è certo la prima volta che le forze dell’ordine restano a braccia conserte (lo scorso Natale hanno addirittura scioperato contro la riforma delle pensioni). Scene simili sono accadute di recente anche a Nizza, Marsiglia, Troyes e Rouen, con una lista che ogni giorno si allunga. Tutto ciò, alla vigilia del secondo turno delle Comunali che si è svolto il 28 giugno, e che ha mostrato anche il lato debole di En Marche. Il partito del presidente, infatti, non nutriva grandi speranze di conquistare la fiducia e i municipi dei francesi. «En Marche sta attraversando la sua prima crisi esistenziale» ha scritto Le Monde. Ed è vero. Al punto che Macron pensa a un rimpasto o peggio. secondo alcuni addirittura a elezioni anticipate. Ma, a ben guardare. la crisi attuale riguarda la politica francese nella sua interezza. Cosi, mentre la sinistra di Jean-Luc Mélenchon e la destra lepenista soffiano sul fuoco di una crisi sociale ed economica che si aggrava. Parigi e il suo presidente si attrezzano ad affrontare l’autunno più caldo che l’Europa ricordi. E se il popolo moderato si stringe con sempre minor afflato intorno al suo leader (il gradimento del presidente è sceso sotto al 34 per cento), Macron non pare avere il pieno controllo del partito, e neppure una strategia per il futuro. Tanto meno per quanto riguarda l’ordine pubblico e la sicurezza. Del resto, è comprensibile. Ha ereditato una riforma dei servizi segreti disastrosa che ha annullato decenni di progressi. Ha sacche di autogestione anarchiche nelle metropoli, e zone urbane fuori controllo nei piccoli borghi di provincia. Registra tra i più alti tassi di criminalità comune in Europa. Al pari degli omicidi di poliziotti (25 nel 2018); dei suicidi nelle forze dell’ordine (68); degli atti di terrorismo (202 arresti nel 2019, la metà del totale dell’Ue) e degli atti contro la religione (541 solo quelli di natura antisemita nel 2019). La Francia odierna intravede, insomma, nuove e pericolose avvisaglie d’insurrezioni – anche armate – nell’anno più difficile per l’intero sistema Paese. Con il Pil e la disoccupazione che segnano numeri da tempo di guerra perla classe media, e con malesseri endemici tra la popolazione immigrata residente (che non ne vuole sapere di rispettare le regole), il rischio di far divampare un incendio nell’esagono è pertanto concreto. Proprio il caso di Digione e la guerriglia scatenata in questo anticipo d’estate dall’agguerrita comunità cecena sono indicativi: i ceceni hanno resistito a Stalin e al comunismo, figuriamoci se non resisteranno alla gendarmerie di Macron. Sono piuttosto resilienti. Un esempio? La sera del 10 giugno (è da mesi che maghrebini e immigrati dall’ex Repubblica sovietica sono in guerra), un ceceno di 16 anni viene picchiato a sangue da alcuni spacciatori nordafricani, così scatta la spedizione punitiva. «Le forze dell’ordine non hanno reagito come avrebbero dovuto. Credo che le azioni dei ceceni invece siano state corrette, visto che si sono uniti e sono usciti per strada ad affrontare degli spacciatori che seminavano morte». È il commento di Ramzan Kadyrov, il presidente della Cecenia, un lembo di terra dell’irrequieto Caucaso che governa con il pugno di ferro, e dove l’Islam e la Sharia sono praticamente «religione di Stato». La sua affermazione ufficiale è tutt’altro che trascurabile: i ceceni in Francia sono non meno di 70 mila, quasi la metà dei 150 mila regolarmente registrati in tutta l’Unione. Circa un terzo di loro vive nella regione di Strasburgo (Alsazia), e la restante parte tra Parigi e il Sud della Francia. A chi rispondono? Non certo all’Eliseo. Dove prendono le armi? Di sicuro non in Francia. Che lavori svolgono? Una parte considerevole si occupa di attività criminali. Lo stesso vale per le comunità maghrebine: secondo stime del 2016, solo in Borgogna vivono oltre 200 mila immigrati nordafricani (il 6,8 della popolazione), buona parte dei quali provengono principalmente da spostamenti interni all’Unione europea (34 per cento) e dal Maghreb (30 per cento). II tasso di disoccupazione e di arresti legati ad attività criminali non fanno neanche più statistica, ma rientrano nella voce «allarme sociale». Xavier Raufer, criminologo e direttore degli studi presso il Conservatorio nazionale di arti e professioni (Cnam), ha dichiarato in proposito: «La vera ragione di fondo è che i giovani individui delle comunità cecena e maghrebina si uccidono a vicenda per controllare i territori su cui vendere droga. ll business, in effetti, è enorme: se prendi un carico da 3 tonnellate di cocaina, i profitti per i semi-grossisti ammontano a quasi 100 milioni di euro. Non si uccidono per niente. Sanno benissimo cosa stanno facendo». Secondo il politologo Alexander Del Valle, le ultime ribellioni di Francia più che altro fanno emergere un aspetto marcatamente anti-Stato: «Gli scontri avvenuti col pretesto dell’appoggio al movimento americano Black Lives Matter, così come quelli etnici di Digione, rivelano la grave frattura che divide profondamente il Paese. Stiamo attraversando il peggior momento per la nazione dopo la seconda guerra mondiale. C’è una pericolosa convergenza tra la minaccia demografica, che vede bassa natalità a fronte dell’esplosione delle nuove generazioni d’immigrati; la questione economica scoperchiata dal Covid-19; il pericolo jihadista che incombe non solo sulla Francia, ma sull’intera l’Europa. Unto questo, insieme alle frange indigene di estrema sinistra, sta creando un miscuglio esplosivo, destinato a erompere in maniera drammatica in autunno, se non vi si porrà prima un argine solido. Ma non vedo come». L’allarme di Raufer e Del Valle è condiviso in parte da una fonte governativa di Francia, che ha accettato di parlare con Panorama sotto garanzia di anonimato, aggiungendo un elemento a dir poco inquietante: a suo dire, le violenze urbane degli ultimi mesi non riguarderebbero né la religione né l’economia, ma sarebbero state pianificate a tavolino da movimenti politici di estrema sinistra, organizzati a livello locale in piccoli collettivi. Il motivo? Avvantaggiare la sinistra di Mélenchon. Ecco le sue parole: «Queste tensioni e questi richiami alle rivolte si diffondono abilmente attraverso i social network e la messaggistica privata. Essi cercano di raggiungere soprattutto i giovani, spronandoli a mobilitarsi e persino a commettere violenze urbane, sempre prendendo di mira gli agenti di polizia. Tale situazione non dev’essere vista come un confronto tra due fazioni mosse Manifestazione dei Syndicat France Police – Policiers en colère che da mesi ha ingaggiato una lotta con il governo dl Parigi. A sinistra, lo slogan scelto dalle forze dl polizia nella loro protesta: «La vostra sicurezza ha un prezzo, aspettiamo protezione e riconoscenza». dalla logica dell’odio e della violenza. Piuttosto, è tesa a offrire argomenti e sostegno a Jean-Luc Mélenchon». Gli atti popolari violenti a pochi giorni dalle Amministrative, insomma, avrebbero avuto «l’effetto di farne il candidato perfetto per raccogliere voti nelle periferie». Al di là di queste speculazioni, Parigi ha davanti a sé una strada stretta e, se è vero che può vantare dei fondamentali economici ragguardevoli e pur avendo le spalle coperte dall’Unione europea, quanto a sicurezza pubblica deve cavarsela da sola. E non ci sta riuscendo.
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