di Andrea Morigi
Giunto ormai da mesi sull’orlo dell’abisso con il default finanziario, messo in ginocchio dall’emergenza Covid-19 il Libano si vede precipitato improvvisamente verso un punto di non ritorno. Prevale il fatalismo, fra gli abitanti della capitale: «Non importa quanto è dura la situazione, la nostra unica certezza è che domani sarà peggio», dicono i loro tweet rassegnati dopo la strage di martedì. A meno che, con le principali infrastrutture disintegrate dalle esplosioni, scatti l’ora della risurrezione. Stefano Piazza, esperto svizzero di sicurezza, propone di guardare ai prossimi appalti per la ricostruzione. «Il porto di Beirut è distrutto, gli ospedali funzionano a fatica, il numero di famiglie rimaste senza casa è incalcolabile, ci sono tonnellate di vetri da sostituire. Inoltre non sappiamo quali sostanze si siano sprigionate nell’aria. Ma intanto si apre uno scenario. C’è da rifare tutto».
E’ il business della ricostruzione, che produce sempre profitto. Chi pensa che se ne occuperà? «Sarà il presidente turco Recep Tayyp Erdogan a dire: “Vi aiuto io” e a saltare sull’affare. Ha già telefonato al suo omologo libanese Michel Aoun, rassicurandolo sulla disponibilità della Turchia a fornire “ogni aiuto necessario” per far fronte alle conseguenze dell’evento. Inoltre la Turchia si è già fatta avanti offrendosi di costruire a Beirut un ospedale da campo e mandando la Fondazione turca per il soccorso umanitario (Ihh) a scavare per recuperare i corpi sepolti sotto le macerie».
Si aspetteranno un ringraziamento concreto. Cosa potranno chiedere in cambio? «Attualmente, l’economia turca non se la passa bene, ma è sostenuta finanziariamente dal Qatar, che peraltro proprio pochi mesi fa aveva rifiutato di aiutare il Libano. Ma questa è un’opportunità che consentirebbe ad Ankara di aggirare la Siria, che geograficamente circonda il Libano ed espandere la propria influenza nel Mediterraneo orientale».
L’unico confine che rimarrebbe sarebbe quello meridionale che divide il Libano da Israele. Sarebbe una minaccia verso lo Stato ebraico? «Gerusalemme non ha nessun interesse a entrare in un conflitto con il Libano, dal quale peraltro attualmente si deve già difendere, perché dalle proprie postazioni Hezbollah continua a lanciare quotidianamente missili verso il territorio ebraico».
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu fra l’altro aveva avvertito l’Onu della presenza di esplosivo nel porto della capitale libanese e, fra le ipotesi, c’è quella che il magazzino saltato in aria a Beirut celasse un deposito di armi delle milizie sciite libanesi. È azzardato immaginare che si sia tratto di un attacco volontario? «Non si può escludere che qualcuno abbia intenzionalmente gettato il libano nel caos per approfittare della situazione. Per ora, si può soltanto dire che il presidente Michel Aoun ha convocato il Consiglio di Difesa. E in quei Paesi lo si fa soltanto in caso di guerra e il premier Hassan Diab ha dichiarato che tutti i responsabili della catastrofe saranno chiamati a risponderne. La dinamica dell’incidente non è ancora chiara. Le indagini diranno che cos’è saltato, se soltanto il nitrato di ammonio oppure anche qualcos’altro. A quel punto forse si capirà qualcosa in più sull’origine di quella tragedia».
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