Il Caucaso meridionale è nuovamente in fiamme. Dallo scorso 27 settembre 2020 i governi di Yerevan e Baku si combattono nella fascia di territorio che divide l’Azerbaigian dall’autoproclamata repubblica del Nagorno Karabakh, l’enclave oggetto dell’annosa disputa che si trova all’interno del territorio azero e dove il 95% della popolazione è di etnia armena. Una guerra che si combatte con missili, moderni aerei da guerra e i micidiali droni di fabbricazione turca e israeliana. Più passano i giorni e più sale il bilancio delle vittime che ha ormai abbondantemente superato le 100 unità ma ciò che più preoccupa la comunità internazionale è che il conflitto nel Caucaso trascini la Russia e la Turchia in una guerra che avrebbe drammatiche conseguenze anche geopolitiche. Nel conflitto del Nagorno Karabakh un ruolo importante lo gioca anche la propaganda del governo armeno che ha denunciato il ruolo di Ankara “che ha già una presenza militare diretta sul terreno”, ma non solo, infatti gli armeni sono sicuri che “le milizie azere possono contare su esperti militari di turchi che utilizzano sistemi d’arma e i droni turchi”. Il governo di Yerevan ha anche dichiarato che Ankara avrebbe ingaggiato migliaia di jihadisti-mercenari siriani in Azerbaigian, così come fatto in Libia. A questa accusa il leader azero Ilham Aliyev ha risposto: “Queste sono sciocchezze”. Non la pensa così buona parte della comunità internazionale che ha visto le foto e i filmati dove appaiono i barbuti mercenari siriani. Secondo Mirko Mussetti, analista geopolitico, “migliaia di jihadisti appartenenti perlopiù alle fazioni Sultan Murad e al-Amshat – che in occidente abbiamo imparato a conoscere con l’impropria locuzione di ‘ribelli siriani’ – si sono trasferiti dalla provincia siriana di Afrin al fronte caldo del Nagorno-Karabakh (o Artsakh). Forse per un salario di circa 1.500-2.000 dollari mensili, certamente su pressione di Ankara. A rivelarlo non è soltanto il transito dei miliziani attraverso la città turca di Gaziantep, ma è lo stesso presidente Erdoğan ad averlo ammesso con vanto. E palesando ipso facto una scrupolosa pianificazione. Gli esperti combattenti si dirigono nella regione contesa per affiancare le truppe azere nella campagna di aggressione ai villaggi armeni della Repubblica separatista dell’Artsakh, ma non solo. Come emergerà prossimamente, un ruolo importante lo sta rivestendo anche il Pakistan, da cui si apprestano a partire diversi combattenti islamici. Islamabad è dichiaratamente al fianco di Baku ed Ankara nella campagna contro Yerevan. Tuttavia l’aspetto religioso è decisamente secondario rispetto alle più prosaiche mire geopolitiche degli aggressori. Tant’è vero che la fede sciita che accomuna l’Azerbaigian all’Iran, il grande rivale anti-ottomano, è percepita come subordinata ai legami linguistici che legano la comunità azera alla sunnita Turchia. Mediante la violenta reintegrazione dei territori del Karabakh e dell’Armenia meridionale, i presidenti Erdoğan e Aliyev bramano la contiguità territoriale dei «due Paesi, una nazione», come amano ripetere, la quale garantirebbe i flussi energetici dal Caspio all’Anatolia senza l’attraversamento obbligato di Paesi terzi (Georgia)”. La guerra nel Caucaso arriva in un momento particolarmente delicato vista la seconda ondata della pandemia di Sars Cov-2 che sta investendo alcuni Paesi Europei (Francia su tutti), la Russia, e le incertezze legate alle prossime elezioni presidenziali negli USA con l’attuale presidente Donald Trump, colpito dal virus con la moglie Melania. E l’Unione Europea che fa? Poco o nulla, dalle cancellerie occidentali non arrivano grandi segnali di interesse a parte generiche dichiarazioni tuttavia, non bisogna dimenticare il rapporto a dir poco ambiguo che l’UE ha con Erdoğan che minaccia ogni volta di invadere l’Europa di migranti, e tutti gli affari legati alle forniture di gas che arriva dal Mar Caspio. È dunque la Russia il Paese che più si sta attivando negli aiuti all’Armenia e secondo Mirko Molteni, giornalista ed esperto di intelligence, la partita del “chi sta con chi” è molto complessa: “La Russia è formalmente alleata dell’Armenia, la quale ospita basi con 3000 soldati russi e 18 caccia MIG-29 dell’aviazione di Putin. Ha però anche rapporti economici con l’Azerbaijan e perciò da giorni preme per una soluzione diplomatica. Mosca non vuole, soprattutto, sentirsi costretta a combattere contro forze turche, sia perchè la Turchia appartiene alla NATO e potrebbe tentare di far valere l’art.5 dell’Alleanza atlantica che impone agli alleati di soccorrerla, sia perchè Putin e Erdogan hanno ricucito con fatica rapporti incrinati nel 2015-16 a causa della guerra in Siria. Se i russi fossero costretti a intervenire, probabilmente, maschererebbero le loro forze all’interno di quelle armene, o facendole passare per mercenari, evitando così imbarazzi diplomatici. L’Armenia, in genere, è appoggiata da Paesi europei come Francia e Grecia che già affrontano l’espansionismo turco nel Mediterraneo; comunque l’UE, in genere si appella alla mediazione. Poichè il recente trattato Israele-Emirati Arabi è anche in chiave antiturca, ciò ha per effetto che, come contrasto a Erdogan e ai suoi amici azeri, vanno agli armeni le simpatie di Paesi anche diversi fra loro, come appunto Israele, Emirati, Egitto, Arabia Saudita. Perfino sull’Iran sono girate voci di un possibile aiuto a Yerevan, il che sarebbe curioso perchè ciò porterebbe per una volta le rivali Riad e Teheran ad essere d’accordo almeno su una cosa. Gli Stati Uniti chiedono il dialogo, ma forte è la simpatia per gli armeni grazie alla folta comunità di origine armena, fra cui la star Kim Kardashian. Più limitate le simpatie per l’Azerbaijan, che oltre alla Turchia conta ad esempio sul sostegno del Pakistan per via del parallelismo Karabakh-Kashmir che, di riflesso, porta l’India a tifare Armenia”. Cosa accadrà quindi? Secondo un’analista della NATO che preferisce restare anonimo la situazione non può che prendere una china pericolosa: “Il conflitto si allargherà perché se l’Azerbaigian farà tacere le armi ci sarà la pace, ma se l’Armenia farà lo stesso allora non ci sarà più nessuna Armenia”. Non resta che sperare in Vladimir Vladimirovič Putin che tutto vuole tranne che una guerra sull’uscio di casa.
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