Lo scorso 22 ottobre 2020 il Governo di Bangkok (Thailandia) ha annullato per decreto, lo stato di emergenza che aveva sancito la settimana precedente. La nuova decisione assunta dal primo ministro, è stata presa per tentare di bloccare le massicce proteste guidate dagli studenti che vogliono riforme democratiche. Tutto era iniziato la sera e la notte tra il 13/14 ottobre con migliaia di giovani e studenti (almeno 10mila) che si erano dati appuntamento davanti al Monumento alla Democrazia, luogo simbolo della Thailandia e dove 47 anni fa iniziò la rivolta popolare thailandese. I moti di piazza riuscirono ad abbattere la dittatura militare del generale Thanom Kittikachorn (1911-2004) che governò con il pugno di ferro dal 1963 fino al 1973. Che la situazione sarebbe precipitata lo si era capito giovedì 24 settembre 2020 dopo che con un rinvio di un mese, si dovevano votare i sei emendamenti alla Costituzione che erano la risposta alle proteste degli studenti accampati fuori dal Parlamento. Speranze deluse perché 431 tra parlamentari e senatori contro 255 hanno votato per il rinvio, a quel punto l’opposizione ha abbandonato l’aula per unirsi ai manifestanti.
Le istanze dei manifestanti e il crollo del Pil dell’8,5% per il 2020
Gli studenti che oggi protestano (anche se è più corretto dire che i disordini sono iniziati nel febbraio scorso seppur a bassa intensità) chiedono nuove elezioni, significative modifiche della Costituzione, la riforma della monarchia e la fine del clima di terrore che circonda tutti coloro che criticano apertamente il Governo. L’esecutivo thailandese, nel frattempo, oltre alle proteste deve anche fronteggiare l’emergenza sanitaria causata dal coronavirus e il conseguente crollo nel secondo trimestre del 2020 del Pil che è diminuito dell’8,5% su base annua. Si tratta di un dato drammatico per la seconda economia del sud-est asiatico nemmeno paragonabile al drammatico 1998, anno nel quale vi fu il crollo delle borse asiatiche all’epoca ribattezzate “ Le tigri di carta”. La contrazione del Pil thailandese fa paura perché è il peggiore tra le sei grandi economie della regione: vedi Indonesia, Filippine, Malesia, Singapore, Thailandia e Vietnam, un fatto che allarma gli analisti finanziari e gli operatori di borsa.
L’epidemia però ha solo accelerato la crisi del sistema thailandese che si era già visto diminuire i volumi delle esportazioni a causa della guerra commerciale tra gli Stati Uniti e la Cina del progressivo invecchiamento del settore manifatturiero senza dimenticare che la domanda interna si è ridotta. A questi fattori si sono aggiunti i minori investimenti dei privati e un marcato rallentamento nel settore delle costruzioni, specie in quello residenziale.
Il settore del Turismo ora trema
Anche dal turismo non arrivano segnali incoraggianti, l’Ente Nazionale per il Turismo Thailandese (TAT) ha messo in guardia il governo sul fatto che per il 2021, si prevede un calo degli arrivi dei turisti stranieri pari al -15% rispetto al 2019. Questo farebbe collassare l’intero sistema perché la diminuzione da 39,8 milioni di turisti (dato 2019), a 6,1 milioni porterebbe ad una diminuzione dei proventi del turismo che, occorre ricordarlo, rappresenta circa il 20% del Pil della Thailandia, pari a 70 miliardi di dollari australiani. Thailandia e Svizzera mantengono stretti rapporti commerciali tanto che nel 2017 secondo il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE), “La Thailandia è stata il secondo partner commerciale più importante della Svizzera nel Sud-Est asiatico, mentre per la Thailandia, la Svizzera rappresenta il dodicesimo partner commerciale più importante e il nono investitore principale”. Nel 2016, 118.000 (+13,3% rispetto al 2015) turisti thailandesi hanno visitato la Svizzera e, lo stesso anno, 208.967 turisti svizzeri si sono recati in Thailandia.
L’ombra del Dragone
La Cina si è subito attivata in modo da puntellare il governo di Prayuth Chan-ocha del quale i manifestanti chiedono le dimissioni, annunciando nuovi investimenti e sostegno economico con queste parole “la Cina sostiene l’impegno della Thailandia a mantenere la stabilità sociale e a raggiungere sviluppo e prosperità”.
Il primo ministro Prayuth ha bisogno della Cina che è il principale investitore straniero in Thailandia e il suo primo partner commerciale con un interscambio annuo di circa 71,5 miliardi di euro, per uscire dal tunnel ma sa bene che Pechino non farà certo beneficenza. I cinesi vogliono che partano i lavori del treno ad alta velocità che dovrebbe collegare – attraverso il Laos – lo Yunnan a Bangkok, progetto previsto nell’ambito della Belt& Road Initiative ( La Via della Seta). L’opera era iniziata poi le liti sul contributo economico cinese hanno bloccato i lavori sulla tratta thailandese che è molto rilevante per la Cina perché se gli USA decidessero in caso di scontro con Pechino di chiudere lo Stretto di Malacca, questa sarebbe un’alternativa al trasporto delle merci.
Intanto a Washington non stanno certo a guardare
Ma il percorso di Prayuth è pieno di ostacoli visto che a Washington contano sul trattato di alleanza tra i due Paesi con gli USA che si servono delle basi aeree thailandesi per monitorare la Cina. Secondo Luciano Tirinnanzi, analista geopolitico e giornalista, “ gli Stati Uniti hanno tutto da guadagnare dal cavalcare le spinte centrifughe delle grandi masse dei giovani thailandesi, che da mesi protestano contro il governo di Bangkok e chiedono addirittura l’abolizione della monarchia. Come nelle altre giovani società del sud-est asiatico, e sull’onda delle proteste di Hong Kong, le nuove generazioni pretendono oggi che la politica nazionale vada verso la democrazia e il rispetto dei diritti fondamentali. Questo agita e spaventa Pechino, che più di ogni altro regime ha ragione di temere un contagio continentale di idee distanti dalla mentalità finora dominante. Già oggi larga parte della popolazione regionale è sempre più acculturata, benestante e insofferente all’idea di dover sottostare a sistemi dittatoriali che rappresentano l’ultimo ostacolo al progresso civico della regione. Le classi borghesi, in particolare, rappresentano ormai quella che in termini marxisti si definirebbe una coscienza di classe: cosa assai pericolosa per una dittatura. Questo è anche il caso di quel movimento giovanile che si autodefinisce ‘Milk Tea Alliance’ e che esprime solidarietà per Hong Kong e Taiwan proprio contro l’ingerenza cinese: diventato sempre più popolare in Thailandia, è riuscito a mobilitare migliaia di giovani contro Pechino. Washington può dunque contare sulle istanze di questa generazione e soffiare sulle loro richieste per sperare che le contraddizioni della società thailandese (così come quella cinese, in definitiva) portino presto al sovvertimento dell’ordine costituito. La caduta di ogni governo che Pechino intende puntellare è cosa gradita all’America, che in questo angolo di mondo può sfruttare appieno la retorica del processo democratico e della conquista dei diritti civili. Per la Cina invece non c’è altra scelta che difendere e conservare lo status quo, ma anche da quest’ultima crepa nel suo progetto egemonico asiatico, c’è una lezione che prima o poi dovrà imparare: “l’economia non può bastare a se stessa”.
E c’è chi si diverte
C’è però chi si diverte nonostante tutti questi guai, parliamo del 68enne re della Thailandia Maha Vajiralongkorn – Rama X, uomo a dir poco stravagante, che da tempo si è autoisolato nell’ultimo piano del Grand Hotel Sonnenbichl che si trova nel distretto di Garmisch-Partenkirchen ai confini con l’Austria. Con lui, oltre a tutto il suo staff e forse la quarta moglie, ci sono anche 20 concubine nel caso il re si sentisse solo. Una presenza quella di re Rama X che sta diventando un caso politico anche in Germania al punto che il ministro degli Esteri tedesco Heiko Maas ha dichiarato: “Abbiamo messo in chiaro che la politica riguardante la Thailandia non dovrebbe essere condotta dal suolo tedesco e se ci sono ospiti nel nostro Paese che conducono i loro affari statali dal nostro suolo, agiremo decisamente per contrastarlo”. I manifestanti in patria che non hanno dimenticato le immagini del suo jet personale, un Boeing 737, mentre atterrava a Dresda, Lipsia e Hannover tutte località dove il re trascorreva le vacanze, ne chiedono il ridimensionamento. Forse ora gli converrebbe tornare a casa prima che resti senza trono. E con quello che costano 20 concubine…
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