Lo scorso 14 ottobre 2020, l’International Maritime Bureau (IMB), istituto che si occupa di analizzare e prevenire il crimine marittimo, ha pubblicato il suo ultimo report sulla pirateria. Dal rapporto redatto per l’International Chamber of Commerce, emerge che il Golfo di Guinea, l’insenatura dell’oceano Atlantico che dal Senegal arriva fino all’Angola, è diventato il più importante hotspot della pirateria a livello mondiale. A due giorni dalla presentazione del rapporto il 16 novembre 2020, a pochi giorni di distanza dal precedente intervento in soccorso della nave cisterna “Torm Alexandra”, la fregata della Marina Militare italiana Martinengo, durante un servizio di pattugliamento nella zona, è intervenuta a difesa del mercantile “Zhen Hua 7” battente bandiera liberiana, che era stato attaccato da una banda di pirati. In passato le stesse dinamiche erano presenti nel Golfo di Aden e nelle acque Somale a lungo teatro preferito dai pirati e in tal senso basta andare al 2011 quando vi furono 276 attacchi. Vista la situazione si mossero la NATO e l’UE con le missioni anti-pirateria Ocean Shield (NATO) e EUNAVFOR Atalanta (UE) grazie alle quali il fenomeno è quasi scomparso. Per contro dal 2012 sono iniziati gli atti di pirateria nel Golfo di Guinea.
Atti di Pirateria aumentati del 40%
I numeri contenuti nel rapporto dell’IMB che vanno dal gennaio al settembre 2020, mostrano come il fenomeno della pirateria sia in costante progressione nel Golfo di Guinea, dove gli attacchi hanno visto un aumento del 40% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Agli attacchi di pirateria seguono sempre i sequestri del personale di bordo e a tal proposito basta citare un numero: il 95% dei rapimenti in mare (dato mondiale) accadono nel Golfo di Guinea. A livello globale gli atti di pirateria sono stati 132, ben 13 in più rispetto ai primi nove mesi del 2019 (119) mentre sono stati 89 i lavoratori impiegati sulle navi sequestrati per ottenere un riscatto di cui 80 solo nel Golfo di Guinea nel corso di 14 attacchi che si sono svolti al largo della Nigeria, nel Benin, Camerun, Gabon, Guinea Equatoriale e Ghana. A proposito di rapiti 31 di loro sono ancora ostaggio delle bande che infestano i mari del Golfo di Guinea e non è raro che le vittime non facciano più ritorno a casa. Per tornare ai numeri nel 2020 sono 112 le navi che sono assaltate con successo mentre 12 sono riuscite a respingere i pirati come accaduto lo scorso 29 novembre al peschereccio battente bandiera del Camerun denominato “KELLY DANIELLE” che è stato attaccato da una barca con a bordo alcuni uomini armati che sono stati respinti dai membri del “Camerun Bataillon d’Intervention Rapide” (‘BIR’) che erano a bordo del peschereccio. Come si spiegano questi numeri? Ne abbiamo parlato con il già Generale Giorgio Battisti ( sotto nella foto) che ha comandato la Brigata Alpina Taurinense, il Corpo d’Armata Italiano di Reazione Rapida della NATO (NRDC-ITA), l’Ispettorato delle Infrastrutture e il Comando per la Formazione, Specializzazione e Dottrina dell’Esercito. Ha partecipato alle operazioni in Somalia (1993), in Bosnia (1997) e in Afghanistan per quattro turni (2001/2002, 2003, 2007 e 2013/14).
Come spiega questa crescita?
Il Golfo di Guinea costituisce un passaggio cruciale per le rotte commerciali internazionali, soprattutto per l’esportazione di petrolio e di gas naturale dalla Nigeria e dall’Angola, due dei più importanti produttori a livello mondiale. La presenza di un’endemica ribellione nel Delta del Niger, unitamente all’aumento delle tensioni sociali lungo gli insediamenti costieri per l’elevata disoccupazione, la scarsa sicurezza e la diversa applicazione giudiziaria delle leggi marittime in molti Paesi dell’Africa Occidentale, hanno reso tale vasto tratto di mare particolarmente attraente per varie tipologie di criminali per la possibilità di ottenere alti profitti. La recente scoperta di ulteriori giacimenti di idrocarburi ha accresciuto ulteriormente l’importanza del Golfo, senza dimenticare che l’entroterra è lo scalo intermedio del traffico di cocaina dal Sud America all’Europa. In questa area marittima, che si estende per oltre 9.000 km dal Senegal all’Angola e include 19 Paesi rivieraschi, viene condotta qualsiasi tipologia di attività criminale, quale pirateria, furto di petrolio, pesca illegale, commercio di droga, terrorismo, traffico di essere umani, mercato nero.
Chi sono i nuovi pirati?
Gli attori principali della pirateria sono da ricercare tra i militanti di gruppi indipendentisti costieri, criminali dediti a vari traffici illegali ma anche fra i pescatori o ladri occasionali che sfruttano le opportunità fornite da questo importante hub di transito internazionale (pescatore di giorno, pirata di notte). I primi sono professionisti che agiscono a scopo di lucro come vere e proprie organizzazioni criminali mentre le motivazioni dei secondi sono da individuare nell’estrema povertà di quella regione africana. Il loro modus operandi è diverso dalle azioni di pirateria al largo del Corno d’Africa, dove si manifesta principalmente con attacchi armati, anche a grande distanza dalle coste, contro navi commerciali al fine di dirottare l’imbarcazione e prendere in ostaggio l’equipaggio a scopo di estorsione. In Africa
Occidentale, invece, la pirateria mira ad attaccare le navi cisterna, i tanker e le portarinfuse per rivendere il carico o chiedere un riscatto delle imbarcazioni o dell’equipaggio. Il crimine non colpisce solo l’industria petrolifera ma nel tempo si è diversificato per includere incursioni marittime sempre più audaci e ben pianificate, anche per il costante aumento del valore dell’industria energetica che ha permesso a queste attività di prosperare e di diffondere la criminalità economica.
Al commercio illegale di carburante e alla raffinazione clandestina, si è aggiunto il saccheggio delle navi, vere e proprie rapine a mano armata, per rivendere i materiali sui mercati locali e il violento sequestro degli equipaggi per ottenere il riscatto. È facile capire che esiste un forte legame tra pirati, milizie, bande armate e ladri di petrolio, pronti a qualsiasi atto criminale: un gruppo può facilmente fondersi nell’altro.
Come invertire la tendenza?
L’Analista di Naval Affairs, Martin Murphy, autore del libro Unconventional Warfare, Piracy and Maritime Security (2015), sostiene che “la pirateria è un crimine terrestre che si svolge in mare”. Questa semplice affermazione chiarisce come il fenomeno abbia radici profonde e ben ancorate nell’entroterra. Ciò richiede di affrontare la pirateria non solo con azioni di prevenzione o repressione sul mare ma secondo i principi di una classica counterinsurgency, dove all’uso della forza deve essere associato un intervento di natura politica e socio-economica per migliorare le condizioni di vita locali al fine di togliere ai criminali l’appoggio (o il tacito consenso) della popolazione. I problemi che generano tali atti criminali, infatti, sono anche conseguenza del degrado sociale, della disoccupazione e della corruzione delle classi dirigenti. Del reddito petrolifero hanno, in gran parte, beneficiato solo i governi centrali, le compagnie petrolifere e le élite locali. La lotta alla pirateria si basa principalmente sulla conoscenza delle minacce che si ottiene con la condivisione delle informazioni raccolte e integrate attraverso la cooperazione tra i diversi attori regionali e internazionali del mondo marittimo e partner statali, al fine di ottenere una visione comune dell’evoluzione dei rischi nel contesto del continuum sicurezza terra-mare e poter cosi anticipare le azioni criminali. I Paesi del Golfo di Guinea dovrebbero, inoltre, promuovere iniziative di sviluppo sociale lungo la costa proteggendo la pesca locale, stimolando l’industria di trasformazione del pesce, fornendo formazione professionale ai settori più vulnerabili della popolazione, quali gli ex combattenti, ex trafficanti di petrolio e giovani disoccupati. Del resto, lo storico militare francese Bernard Fall, uno dei più acuti studiosi delle operazioni di controguerriglia del secondo dopoguerra, affermava che la counterinsurgency era per l’80% azione politica e sociale e solo per il 20% militare (The Theory and Practice of Insurgency and Counterinsurgency – 1965).
Infine per tornare al rapporto dell’International Maritime Bureau secondo l’Assistent Director dell’IMB Cyrus Modi “Affrontare il crimine di pirateria e rapina a mano armata richiede la consapevolezza e il riconoscimento, da parte delle autorità costiere e regionali, del fatto che il crimine si verifica. Ciò è stabilito dalla segnalazione di informazioni trasparenti e accurate, che viene fatta dall’IMB Piracy Reporting Centre da quasi 30 anni. Ciò consente la corretta allocazione delle risorse e lo sviluppo delle capacità e dei mezzi per affrontare questo crimine. La riduzione del crimine di pirateria e delle rapine a mano armata si ottiene attraverso uno scambio di informazioni puntuale e accurato, che porta alla cooperazione e al coordinamento tra le autorità che reagiscono, traducendosi in risposte solide, attive, positive e significative agli atti di pirateria e alle rapine a mano armata in mare e prendendo di mira i colpevoli sulla terraferma”.
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