Molti commentatori erano convinti che il Paese, dopo le elezioni, si sarebbe risvegliato praticamente socialdemocratico. Si è fatto molto rumore, ma quello che Biden sta costituendo è un governo di centrodestra
Negli ultimi mesi molti giornalisti e un buon numero di intellettuali europei hanno provato a raccontare l’America che si avvicinava alle elezioni presidenziali. Spesso però lo hanno fatto innamorandosi della loro stessa narrazione, nella quale l’America con Donald Trump era diventata un Paese distrutto nelle sue fondamenta democratiche, violento e profondamente razzista; mentre con Barack Obama e Hillary Clinton gli States erano stati una sorta di paradiso terrestre. Così per quasi un anno sono apparsi ciclicamente sondaggi che mostravano come lo sfidante democratico Joseph Biden fosse in vantaggio di 20-25 punti sul presidente in carica, facendoci intendere che il voto sarebbe stato una mera formalità. Oggi sappiamo che non è andata così. Le elezioni, vinte legittimamente dai democratici (che avevano a disposizione risorse finanziarie tre volte superiori ai repubblicani), si sono risolte negli Stati chiave per una manciata di voti. Così come sappiamo che la prevista “onda blu” non c’è stata. L’America resta quindi divisa e al nuovo presidente occorrerà tutta la sua esperienza per mediare con i repubblicani ogni volta che ne avrà bisogno. Perché, finita la propaganda, per governare occorrono i numeri, che per fortuna non mentono mai. Ma con il 78.enne Joe Biden alla Casa Bianca che America sarà? A ridosso del voto gli stessi commentatori, sia negli USA sia in Europa, erano convinti che con la vittoria del partito democratico il Paese si sarebbe risvegliato la mattina del 5 novembre 2020 praticamente socialdemocratico. I fatti mostrano che non è così perché il governo che Joe Biden sta formando è un Esecutivo come quello di Trump, ma senza Trump. Scegliendo Biden, gli americani hanno puntato sulla figura più conservatrice e più moderata del partito democratico ed è per questo che il futuro presidente sta scegliendo e nominando per le posizioni all’interno della nuova amministrazione personalità in linea con il suo pensiero politico. Le ali estreme del partito democratico, dopo essere state utilizzate per raccogliere voti, sono fuori da giochi, almeno per i ruoli che contano, tanto che Alexandra Ocasio-Cortez, astro nascente dei dem, ha dichiarato: “Dovete smetterla di considerare noi della sinistra dei nemici”. Qualche esempio. L’esponente più agguerrita della sinistra democratica, la senatrice Elizabeth Warren, che voleva essere nominata al Tesoro, è stata messa da parte in favore di Janet Yellen, ex presidente della Federal Reserve, che pur essendo la prima donna a ricoprire tale incarico non si può certo dire di sinistra. Come segretario di Stato Biden ha scelto Antony Blinken. Di fede ebraica, nato a New York ma cresciuto a Parigi dall’età di 9 anni fino al momento del diploma, vanta importanti esperienze negli affari europei ed è un uomo degli apparati di Washinghton. Laureato in legge ad Harvard, dopo una prima esperienza giornalistica a «The Harvard Crimson» ha poi lavorato per «The New Republic» e in seguito conseguito un dottorato in giurisprudenza alla Columbia Law School. È entrato nel Dipartimento di Stato nel ’94 come membro dello staff del National Security Council (NSC), ruolo che ha ricoperto fino al 2001 durante il governo Clinton. Dal ’94 al ’98 Blinken è stato anche assistente speciale del presidente e direttore senior per la pianificazione, mentre dal ’99 al 2001 è stato assistente speciale di Clinton e direttore senior per gli Affari europei e canadesi. Nel 2002 e fino al 2008, durante il governo Bush, Blinken ha avuto il ruolo di direttore del personale per la commissione per le Relazioni estere del Senato. Nel 2008 ha lavorato per la campagna presidenziale di Joe Biden, che avrebbe avuto l’incarico di vicepresidente di Obama. Dal 2009 al 2013 è stato consigliere per la sicurezza nazionale di Obama-
È stato poi viceconsigliere della sicurezza nazionale e nel 2014 è stato nominato vicesegretario di Stato. Blinken, che è uomo risoluto, che ha sostenuto l’invasione dell’Iraq da parte degli Stati Uniti nel 2003, ha appoggiato l’intervento militare in Libia nel 2011, ha spinto Obama ad una politica più dura in Siria ed è stato attivamente coinvolto nel piano di uccisione di Osama Bin Laden. Dopo l’annessione della Crimea da parte della Russia, nel 2014, ha avuto un ruolo centrale anche nella ridefinizione dei rapporti con Mosca. Come segretaria alla Difesa è in pole position ma dovrà passare dalle forche caudine del Senato. Michèle Flournoy, anche lei interventista (e quindi detestata dalla sinistra dem), con Blinken ha fondato, nel 2017, la società di consulenza strategica WestExec Advisor. Uomini degli apparati sono anche Ron Klain, capo di gabinetto, e Jake Sullivan, consigliere per la sicurezza nazionale. Così come lo è il 76.enne John Kerry, “inviato speciale” per il clima. Discorso a parte merita la vicepresidente eletta Kamala Harris. Figlia di una brillante scienziata indiana e di un professore giamaicano-americano della Stanford University, come Procuratore generale della California ha usato il pugno di ferro nei confronti degli afroamericani, diventando uno dei magistrati più duri e capaci nella lotta alla criminalità: non ha nulla della donna anti-sistema che ci è stata descritta. Lo stesso si può dire del marito Douglas Craig Emhoff, avvocato d’affari di New York che vanta un patrimonio di oltre sei milioni di dollari.
Il 78.enne Joe Biden nel rendere note le prime nomine ha affermato che la sua amministrazione sarà «di rottura e cambiamento radicale rispetto a Trump» e che «non sarà un terzo mandato Obama, perché oggi il mondo è totalmente differente». Ma con il personale politico che sta reclutando tra gli apparati il neopresidente apporterà ben poche modifiche alla politica estera americana. Ad esempio si guarderà bene dal ridurre il conflitto con la Cina, mentre con l’Iran ci sarà un riavvicinamento ma sarà solo di facciata, perché nessuno si fida di Teheran. Lo stesso farà in Medio Oriente, dove a prevalere saranno il pragmatismo e gli interessi nazionali, non ultimo la vendita di armamenti. Probabile che un cambiamento ci sarà, almeno nella forma, nel rapporto con l’UE. Ma a tal proposito bisognerà vedere se alle parole e ai sorrisi seguiranno i fatti, perché si sa che gli USA non siedono al tavolo se le carte non le danno loro. Quindi si è fatto molto rumore, sono state spese molte parole, ma il risultato è che quello che si sta costituendo è un governo di centrodestra, nel quale non troveranno posto quelle figure estreme usate per prendere voti. Poi, tra quattro anni, se qualcuno sarà capace di essere trumpista senza essere Trump troverà 72 milioni di voti che lo aspettano: perché l’America, piaccia o no, è più trumpista che mai.
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