Tra USA e Cina lo scontro è anche sulle Terre Rare. Il mercato dei magneti delle terre rare vale 14 miliardi di dollari all’anno. (MDD 20.12.2020)

Non appena Joe Biden si sarà insediato alla Casa Bianca il “Dossier Cina” sarà uno dei primi che dovrà affrontare. Si tratterà di uno dei banchi di prova più importanti per il neo Presidente americano e la sua amministrazione, visto che i rapporti con Pechino come si è visto anche negli ultimi quattro anni con Donald Trump, sono ai minimi termini. Chi si occupa di strategia e di tattica sa molto bene che, oggi più che mai, è sconsigliabile andare allo scontro frontale con la Cina specie se questo è animato da considerazioni di tipo protezionistico e di propaganda, tutte cose alle quali i cinesi non sono minimamente interessati. Tra le molte pagine che compongono il Dossier cinese, Joe Biden troverà quello dedicato alle terre rare delle quali la Cina abbonda, visto che controlla quasi il 90% della produzione mondiale. Ma cosa sono? Si tratta di 17 elementi chimici della tavola periodica classificati come metalli, e sono il Lantanio, Cerio, Praseodimio, Neodimio, Samario, Europio, Gadolinio, Terbio, Disprosio, Olmio, Erbio, Tulio, Itterbio, Lutezio, Ittrio, Promezio e Scandio. Questi elementi dai nomi improbabili sono indispensabili per la produzione di smartphone, tablet, computer, televisori ma anche degli elettrodomestici, ma non solo. Vengono infatti utilizzati nei trattamenti di alcuni tipi di cure oncologiche e nella ricerca scientifica, senza contare l’uso massivo nell’industria della Difesa che li utilizza nella costruzione dei sistemi radar, sonar, laser e di guida.

Rare ma non..troppo

A dispetto del loro nome le terre rare sono abbastanza abbondanti, più di altri minerali ferrosi e non, come, ad esempio, il rame o il nichel, tuttavia, a definirle “rare” è la loro ubicazione geografica oltre il processo di estrazione che è ad alto impatto ambientale. Secondo un recente rapporto del Centro Studi Internazionali (Ce.S.I.) “la maggior parte dei giacimenti di terre rare si trovano in Cina, che possiede circa un terzo delle riserve mondiali (di fatto quasi un monopolio), seguita da Vietnam, Brasile, Russia, India, Australia, Groenlandia e Stati Uniti”. Mentre gli Stati Uniti cadevano nelle costosissime trappole delle “guerre infinite al terrorismo” in Medio Oriente, i cinesi hanno rafforzato la loro posizione a livello globale nel mercato delle terre rare investendo in quelle tecnologie utili alla ricerca e all’estrazione dei minerali dalle miniere dove non va dimenticato la manodopera non ha certo diritti così come la tutela dell’ambiente: una frase che fino a poco tempo fa faceva sorridere l’élite cinese al potere.

La Cina monopolista

Così dal 2010 la Cina è di fatto monopolista anche nell’industria di raffinazione delle terre rare con Pechino che, sempre secondo il Ce.S.I, “è diventata il principale hub globale nel trattamento dei metalli, persino di quelli estratti in altre parti del mondo da società non cinesi, ed ha contestualmente scoraggiato altri Stati nell’investire nel settore, tanto che in molti hanno optato per l’importazione dei metalli piuttosto che alla loro diretta produzione”. Per tornare alla nuova Amministrazione americana il timore (che è abbastanza diffuso) è: se i rapporti resteranno tesi allora i cinesi, per ritorsione, potrebbero decidere di usare le terre rare come arma negoziale o geopolitica. Questo scenario sarebbe un disastro. Impossibile?! Il Partito comunista cinese ha dichiarato a tal proposito di aver preso in considerazione la possibilità di limitare l’esportazione di terre rare. ‘Non sottovalutate la capacità cinese di contrattaccare. E poi non dite che non vi avevamo avvertito’. Chi ha buona memoria ricorda di come nel 2010 i cinesi colpirono il Giappone interrompendo l’export dei minerali trattati, dopo che erano ai ferri corti a causa della vicenda del capitano di una nave cinese che venne arrestato per aver navigato nelle acque adiacenti le isole Senkaku nel Mar Cinese Orientale. Per gli americani l’ipotesi di un blocco sarebbe a dir poco disastrosa visto che l’80% del fabbisogno statunitense di terre rare è fornito dalla Cina che, sapendolo, ha più volte (velatamente) minacciato ritorsioni a causa della guerra commerciale ingaggiata dagli Stati Uniti.

Secondo Antonio Selvatici, giornalista e docente al Master di Intelligence economica presso l’Università degli Studi di Tor Vergata, “L’intreccio è diabolico. Da mesi, e con il Recovery Found ancora di più, si sta spingendo verso una globale conversione energetica. Così com’era già accaduto con il boom della produzione d’energia elettrica per mezzo dei pannelli fotovoltaici, produzione d’energia discontinua che ha goduto di ottimi incentivi: un vero regalo che abbiamo fatto alla Cina che era, ed è, il più grande produttore mondiale di pannelli. Se l’orientamento è quello di passare al green utilizzando largamente le batterie, a meno di salti di tecnologia, è meglio sapere che l’ottanta per cento della processazione globale di cobalto, materiale necessario per produrre gli accumulatori, è in mano a Pechino. Non è forse vero che tra i maggiori clienti del colosso cinese GanfengLithium troviamo la blasonate case tedesche BMW e Volkswagen? Alcune nazioni sono state colonizzate da imprese minerarie di altri Paesi. Per quanto riguarda le miniere di litio analizziamo il caso Australia, il Paese che estrae la più alta quantità del prezioso materiale a livello mondiale. Le cinesi TianquiLithium e GanfengLithium sono ben presenti, ma troviamo anche l’americana Albemarle. Il risiko delle miniere è globale e la disponibilità di estrazione di materie prime strategiche può essere considerato una delle armi geopolitiche. Però bisogna essere prudenti. Gli intrecci, l’integrazione globale della catena del valore, delle produzioni sono diaboliche. Chi produce cosa e dove? I cinesi sono esportatori di prodotti finiti, ma anche importatori di merce non finita. La supremazia tecnologica (per ora) non è ancora cinese. Il rischio è che se s’interrompe un anello della catena le conseguenze possono colpire anche il promotore dell’iniziativa. Ed anche per ciò che la Cina ora punta ad una sorta di “autarchia”.

Terre rare indispensabili per gli USA

Nonostante la produzione statunitense sia tra le più grandi del mondo – con 15 mila tonnellate nel 2018, poco meno dell’Australia– è un briciolo rispetto alle 120 mila tonnellate all’anno dei cinesi. In ogni caso, se il clima tra Pechino e Washington dovesse ulteriormente surriscaldarsi, per i cinesi bloccare l’export delle terre rare darebbe un colpo mortale al cuore della superpotenza militare (e di tutto il comparto) a Stelle e strisce perché le terre rare sono indispensabili nella fabbricazione di laser, di droni, di sistema di guida missilistica, nelle attrezzature di comunicazione e nelle componenti dei motori a reazione e persino dei missili, giusto per citarne alcuni. L’allarme suonato da tempo al Pentagono ha spinto il Dipartimento di Difesa e quello dell’Energia a finanziare in modo massiccio una serie di progetti di riciclaggio e di estrazione domestica delle preziose terre, sperando di aumentare la propria capacità di lavorazione delle terre rare, una chiara volontà di riuscire a sganciarsi nel medio periodo dal gigante cinese. Va in questa direzione l’ingente finanziamento erogato alla “ MP Materials” Società che controlla la miniera californiana di Mountain Pass che si trova nel deserto del Mojave, che è l’unica fonte attiva di terre rare in America, per permetterle di intensificare l’estrazione dei metalli. Una decisione che ha fatto storcere il naso a molti visto che la miniera è fallita più di una volta a causa dell’impossibilità di competere con i cinesi. Altri finanziamenti sono stati erogati alla miniera di Round Top Mountain (El Paso Texas) ricca di litio, uranio e berillio. Nel board della miniera il Pentagono ha fatto nominare l’ex generale dell’U.S. Army e membro del Defense Science Board, Paul J. Kern. Con l’inserimento nelle terre rare nel Defense Production Act in quanto “essenziali per la Difesa nazionale” la miniera dove si trovano 16 dei 17 elementi, potrebbe diventare una risorsa importantissima per l’industria mineraria statunitense. I cinesi a loro volta hanno fatto lo stesso ma all’estero vedi in Mozambico, Madagascar, in Guinea, nella Repubblica Democratica del Congo e nel Malawi, Paesi dove estraggono minerali che vengono poi raffinati in Cina.

Rischioso il monopolio totalitario

A proposito di terre rare: il geologo ticinese Mathias Luechinger osserva: “L’estrazione di metalli preziosi e terre rare rappresenta un mercato enorme, anche se le terre rare rappresentano una piccolissima porzione di questo mercato. Il costo delle terre rare (per la maggior parte) è da considerarsi ancora ‘basso’ in rapporto ad altre materie esportate all’ingrosso per la produzione tecnologica. È però innegabile osservare un innalzamento di questo costo nel corso degli anni. La costante crescita dell’utilizzo delle terre rare in legame alla loro situazione ‘geologica tecnologia di estrazione’, farà sì che il loro costo aumenti ancora. La possibilità di un monopolio totalitario e aggressivo da parte della Cina spingerebbe ancora di più alle stelle questo costo, come ci è stato mostrato dalla storia negli anni 2010-2012. Le varie economie impattate dall’utilizzo di queste terre rare ne andrebbero a risentire. Che questo spinga inoltre le varie nazioni toccate negativamente a riaprire le vecchie miniere (vedi USA) non è inoltre da escludere, come non è da escludere una risposta bellica per la ricerca di queste risorse. Dall’altra parte, non si può nemmeno escludere una spinta innovativa a livello scientifico- tecnologico per l’estrazione di esse o la loro sostituzione. Alla fine dei conti, personalmente, vedo più svantaggi che vantaggi”.

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