Ecco perché l’Africa è il nuovo campo di battaglia jihadista (MDD 17.01.2021)

ll continente africano scosso quotidianamente dalla violenza e dai massacri islamici

Il Consiglio Ue ha prorogato negli scorsi giorni il mandato della missione dell’Ue “Eucap Sahel Mali” fino al gennaio del 2023 e le ha assegnato un bilancio di 89 milioni di euro per tale periodo. Il Consiglio ha inoltre deciso di adeguare il mandato della missione per potenziarne la capacità di assistere e consigliare le forze di sicurezza interna del Mali sostenendo un graduale ridistribuzione delle autorità amministrative civili al centro del Paese. Un amisura necessaria vista la gravissima situazione esistente. In Africa il 2020 è stato un anno dove le attività delle organizzazioni terroristiche islamiche sono aumentate in maniera esponenziale. Numerose statistiche hanno messo in risalto come nel 2020 il rischio terroristico in tutto il Continente sia aumentato del 13% rispetto al 2019. Tutto questo è accaduto mentre il resto del mondo provava a contenere e frenare la pandemia di Sars Cov-2 oltre a cercare di produrre in tempi record un vaccino che oggi è realtà. Nel Continente africano, alle prese anch’esso con la pandemia, le attività di Al Qaeda e dell’Isis attraverso i loro gruppi regionali hanno causato la morte di migliaia di persone, oltre ad aver trasformato centinaia di migliaia di individui in rifugiati nei loro stessi Paesi -un fatto che ha destabilizzato ulteriormente i Governi in vaste regioni del Continente. L’inizio del 2021 certifica la tendenza sempre al rialzo, della violenza dell’Isis e di Al Qaeda che colpiscono quasi quotidianamente l’Africa.

Stragi quotidiane che prendono di mira la popolazione civile spesso di religione cristiana

Nazioni come il Burundi, la Costa d’Avorio, il Mali, la Tanzania, il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo, l’Etiopia, la Somalia, il Kenya, il Mozambico e il Senegal, vedono stragi tra la popolazione civile spesso di religione cristiana, di militari e forze di polizia anche con attacchi kamikaze come accaduto nella città di Mozogo, nel Nord del Camerun, dove una donna appartenente alle milizie di Boko Haram (“L’istruzione occidentale è proibita”, n.d.r) che è uno dei gruppi terroristici più brutali al mondo, si è fatta esplodere uccidendo almeno 15 civili, tra cui cinque bambini di età compresa tra i 3 e i 14 anni e secondo l’UNICEF altri sei bambini, tra i 9 e i 16 anni, sono rimasti gravemente feriti.

 Boko Haram e Al Shabaab flagellano l’Africa

Il gruppo Boko Haram che ha giurato fedeltà all’ISIS nel 2015, è nato nel 2002 a Maiduguri, la capitale dello Stato Nord-Orientale del Borno (Nigeria) ed ha abbracciato la dottrina salafita-jihadista nel 2009. Attualmente il gruppo responsabile di rapimenti e atrocità inimmaginabili è guidato da Abubakar Shekau (sotto nella foto) dato per morto innumerevoli volte ma che è vivo vegeto e saldamente al comando. Gli aderenti sono migliaia (tra 7-9 mila) che spesso sono entrati nella milizia attraverso gruppi tribali. Boko Haram nonostante il governo nigeriano lo ritenga sconfitto, resta un flagello che destabilizza il Nord della Nigeria e i Paesi limitrofi attaccati a più riprese.

Ad esempio, in Camerun, dove vivono 25 milioni di persone, dal 2016 è in corso una guerra tra ribelli indipendentisti che vorrebbero trasformare il nord-ovest e del sud-ovest del Paese in uno Stato autonomo denominato “Ambazonia” e l’esercito regolare. Un conflitto cruento, basti pensare che nel 2019 ci sono stati oltre 100 attacchi, e secondo le stime dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite (Unchr), avrebbe causato più di 3.000 morti, migliaia di feriti e più di 680.000 sfollati ai quali vanno aggiunti gli oltre 420.000 profughi provenienti della Repubblica Centrafricana e della Nigeria. Non va poi dimenticato l’altro flagello terroristico che colpisce l’Africa, gli Al Shabaab somali (i Giovani dall’arabo Ḥizb al-Shabāb) legati al Al-Qaeda. Il gruppo fondato nel 2004 che puo’ contare su 4-5 mila unità è guidato da Ahmed Umar alias Ax Cumsin Capre , Ahmed Diriye e Abu Ubaidah.

Negli ultimi 50 anni l’Africa ha visto più di 70 colpi di Stato in 26 Paesi diversi

Come ricordato nell’ultima ricerca dell’International Institute for Counter-Terrorism (IDC) del Centro interdisciplinare di Herzliya (Israele) dal titolo “L’espansione dell’Islam radicale in Africa – Mozambico come caso di studio”, leggiamo che negli ultimi 50 anni l’Africa ha visto più di 70 colpi di Stato in 26 Paesi diversi, il 60% dei quali nei paesi di lingua francese. Inoltre, diversi Paesi hanno dovuto fare i conti con movimenti armati isolati o isolazionisti che rivendicavano la sovranità e l’autonomia utilizzando il terrorismo e la guerriglia: la rivolta nel Casamance,regione geografica del Senegal meridionale, l’Eritrea nell’Etiopia nordoccidentale, il Katanga nella parte sudorientale della Repubblica Democratica del Congo (RDC), l’Azawad nel nord del Mali e la cosidetta “Ambazonia” in Camerun sono stati i principali esempi di tali rivendicazioni. Un genocidio, come quello avvenuto in Ruanda e costato la vita a più di 1,5 milioni e mezzo di Tutsi tra aprile e luglio del 1994, è anche un esempio dei letali conflitti interetnici ed interreligiosi che si verificano in Africa. Altri esempi sono gli scontri tra Hutu e Tutsi in Ruanda, Kikuyu e Joluo  in Kenya, Bete e Dioula in Costa d’Avorio, Nuer e Dinka in Sud Sudan, Bayangu e Bororos in Camerun e Seleka e Antibalaka nella Repubblica Centrafricana. Si può affermare con certezza che il terrorismo islamico radicale è un altro aspetto di tale violenza storica. Di fatto, il terrorismo ha messo radici in varie regioni dell’Africa e sostituisce le guerre civili di un tempo. Ma come sono potuti fiorire nel Continente africano i semi del male del terrorismo? Le ragioni sono molteplici. Quelle socio-economiche: la povertà, la disoccupazione, le carestie, le malattie e il ricchissimo traffico di droga; quelle politiche con il riverbero delle cosiddette Primavere arabe del 2011 che hanno fatto tremare Governi debolissimi che non hanno alcun controllo su molte aree nazionali e che hanno dovuto fare i conti con forti connessioni geopolitiche quali il riesame dei confini del dopoguerra, la massiccia presenza cinese, quella turca e quella occidentale, tutte in netta espansione. Tutti fenomeni che hanno rinfocolato in Paesi di per sé già debolissimi, numerose tensioni post-coloniali. C’è poi l’emergere della jihad globale, il suo radicamento in Africa, la sua diffusione attraverso le matrici di predicazione salafita formatesi in tutto il Continente. Fattori che hanno contribuito alla nascita di violente organizzazioni salafite che minacciano direttamente la pace e la stabilità nel Continente -e indirettamente anche l’Europa. La situazione di grave instabilità nel Continente africano, le continue violazioni dei diritti umani e i danni alle fragili economie dovute alla pandemia, potrebbero generare nuovi fenomeni migratori? Secondo il Direttore del “Migration Policy Centre” dell’European University Institute, il Prof. Andrew Geddes: In termini di implicazioni per la migrazione, penso che le questioni siano meno dirette (nel senso che il conflitto è un fattore scatenante per una migrazione di massa verso l’Europa) ma potenzialmente molto più gravi. Quando dico che sono meno dirette, intendo dire che gli effetti dello spostamento sono probabilmente in paesi più vicini ai conflitti. Non credo che vedremo movimenti di massa verso l’UE come nel 2015 e nel 2016. Quindi, nel caso dell’Etiopia, vediamo molti spostamenti verso il Sudan.

Alcuni di questi sfollati etiopi potrebbero tentare di trasferirsi in Europa, ma è costoso e pericoloso farlo e l’UE ha fatto grandi sforzi per aumentare i controlli sull’immigrazione cooptando Stati non membri dell’UE, in particolare la Libia, ma anche la Turchia. In termini pratici, migranti e rifugiati trovano più difficile raggiungere l’UE mentre l’attraversamento del Mediterraneo è diventato ancora più pericoloso e mortale”. Quello che sta succedendo è uno spostamento più vicino ai luoghi di conflitto. È qui che le questioni diventano meno dirette per l’UE, ma più complesse e potenzialmente gravi. Lo sfollamento su larga scala a seguito di un conflitto è già un problema importante per molti paesi africani. I Paesi europei e l’UE possono cercare di dare un contributo positivo alla protezione e alla sicurezza umana per gli sfollati, che potrebbe anche includere un maggiore impegno per il reinsediamento dei rifugiati”.

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