Nel Golfo Persico si stempera la crisi diplomatica con il Qatar (Il Mattino della Domenica 24.01.2021)

In Arabia Saudita sorgerà NEOM: la città da 500 miliardi di dollari più’ grande di New York.

Non si fermano in Arabia Saudita, -il più grande produttore ed esportatore al mondo di petrolio (tallonata da Russia e Usa) e anche uno dei più grandi inquinatori- i lavori di NEOM la metropoli ecologica e high-tech “a zero automobili, zero strade, zero emissioni di CO2″ voluta dal principe ereditario Moḥammad bin Salmān Āl Saʿūd (MBS). La città costruita nel deserto e sul Mar Rosso, 33 volte più grande di New York City, conterrà al suo interno anche il progetto urbanistico denominato The Line che secondo MBS sarà “una rivoluzione nella vita urbana del Regno, senza auto nè strade e immersa nella natura, dobbiamo trasformare il concetto di città convenzionale in una città futuristica“. La costruzione di Neom, interamente finanziata dallo Stato saudita attraverso il “Saudi Public Investment Fund”, costerà alla fine dei lavori, più di 500 miliardi di dollari e viene descritta dai sauditi come “il progetto più ambizioso al mondo“. Affermazione non certo infondata visto che parliamo di un’area di 26.500 chilometri quadrati, vicino al Mar Rosso e al Golfo di Aqaba dove troverà posto anche “The Line”, una striscia di terra lunga 170 km abitata da un milione di persone che saranno completamemte iperconnesse e dove secondo MBS che ha parlato alla tv saudita lo scorso 10 gennaio 2021, “non ci saranno auto, niente strade e zero emissioni di anidride carbonica“. Il giovane erede al trono che sta cercando con molte difficoltà di rifarsi un’immagine pubblica dopo la drammatica vicenda della morte del disssidente saudita Jamal Ahmad Khashoggi – ucciso all’interno del consolato saudita di Istanbul il 2 ottobre del 2018- su questo progetto si gioca davvero molta della residua credibilità rimastagli. E per questo non bada a spese nemmeno nella comunicazione e nel marketing sperando di trovare investitori che scelgano NEOM come loro base ma anche persone che decidano di andarci a vivere. Il progetto, che sarà completato entro il 2030 (salvo ritardi), creerà più di 380mila posti di lavoro e contribuirà al Pil dell’Arabia Saudita ( una volta a regime), con 40 miliardi di euro.

Pannelli solari e idrogeno per uscire dalla dipendenza del petrolio

La città è il fiore all’occhiello del progetto “Vision 2030” finanziato con il collocamento alla Borsa Tadawul di Riyadh dell’1.5% della compagnia petrolifera di Stato “Saudi Aramco” che oggi vale 1.700 miliardi di dollari. La vendita ha fruttato 25,6 miliardi di dollari che servono al Regno saudita per abbandonare la monocultura della vendita di idrocarburi (dalla quale oggi dipende), in favore del gas e delle energie rinnovabili. Così si spiega la realizzazione del più grande parco solare mai costruito al mondo, un progetto reso possibile dalla stipula di un accordo tra il Governo saudita e il colosso giapponese Softbank. Anche qui i numeri sono impressionanti: il parco solare una volta completato (è comunque in funzione dal 2019), raggiungerà la cifra record di 200 gigawatt di potenza, un numero a dir poco sbalorditivo se si pensa che oggi a livello globale, la produzione da impianti fotovoltaici arriva a 400 gigawatt

Non c’è solo l’energia solare nei piani di MBS, infatti, lo scorso 19 luglio il gruppo Air Products ha reso l’accordo tra la Acwa Power e la città di Neom relativo alla costruzione del più grande impianto al mondo per la produzione di ammoniaca “green” da idrogeno rinnovabile. Il costo? Circa cinque miliardi di dollari suddivisi tra i soci. L’impianto che utilizza un innovativo sistema da 4 gigawatt «integra energia solare ed eolica per produrre idrogeno verde da elettrolisi dell’acqua con tecnologia della corporation tedesca Thysssenkrupp, da cui poi verrà sintetizzata ammoniaca a impatto zero». Se non ci saranno intoppi a partire dal 2025 a NEOM si produrranno 650 tonnellate di idrogeno verde al giorno, che verranno  trasformate in circa 1,2 milioni di tonnellate di ammoniaca “green” all’anno.

Durerà la ritrovata armonia tra i Paesi del Golfo?

Non ci sono solo i giganteschi progetti infrastrutturali in Arabia Saudita a catturare l’attenzione dei media perché in queste settimane l’attività diplomatica di Ryad è stata molto intensa. Infatti dopo una lunga crisi iniziata nel giugno del 2017, dopo le accuse (non campate per aria) mosse al Qatar di sostenere il terrorismo e di rapporti spericolati con l’Iran, durante il recente vertice del “Gulf Cooperation Council” tenutosi nella città saudita di Al-Ula, l’Arabia Saudita, il Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti, il Qatar, l’Oman e il Kuwait hanno firmato un accordo “di solidarietà e stabilità”, che pone fine alla crisi nel Golfo Persico. Al vertice era presente anche Jared Kushner, il vero artefice dell’accordo, consigliere e genero dell’ormai ex presidente Donald Trump. Che impatto avrà la ritrovata armonia tra gli Stati del Golfo? Secondo Antonino Occhiuto analista e ricercatore presso il “Gulf State Analytics”:Sia da parte dei sauditi che dei qatarini c’è interesse che il riavvicinamento duri. Per Riyadh ricucire lo strappo con Doha è importante sia per venire incontro alle richieste di Washington, alla vigilia dell’ insediamento della nuova Amministrazione Biden, sia per tentare di ricostituire un fronte sunnita il più unito possibile contro l’Iran. Tuttavia, gli Emirati Arabi Uniti, il più importante alleato di Riyadh nella regione, hanno accettato la riconciliazione con riluttanza. Il fatto che ancora non siano stati discussi step pratici per risolvere le questioni che hanno portato alla crisi del 2017, come il sostegno del Qatar ai Fratelli Musulmani, può permettere ad Abu Dhabi di frenare l’avvicinamento Arabia Saudita-Qatar che spera nella durata del riavvicinamento. Doha si trova tradizionalmente a suo agio nel fare hedging tra le due grandi potenze della regione, ovvero Arabia Saudita e Iran, piuttosto che dover dipendere commercialmente e logisticamente da Tehran, cosa che è stata costretta a fare dal giugno 2017 ad oggi».

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