Negli ultimi anni la Repubblica Popolare Cinese ha aumentato in maniera massiccia la propria presenza nello spazio. Suscitando l’allarme di Washington, decisa a contrastare questo attivismo mantenendo la propria superiorità.
Mentre il nuovo presidente americano Joe Biden completa la squadra non senza contraddizioni, e il neosegretario di Stato Antony John Blinken è alle prese con il suo primo giro di consultazioni con i ministri degli Esteri dei Paesi alleati e non, si delineano alcune linee guida della nuova Amministrazione, ad esempio quelle nei confronti della Cina. A scanso di equivoci è bene chiarire che l’approccio al gigante asiatico non sarà molto diverso da quello di Donald Trump, con la sola differenza che gli USA puntano, con molta diplomazia e pari fermezza, a coinvolgere l’Europa nella sfida globale a Pechino. I campi di battaglia dove si confronteranno americani e cinesi sono molti: la Belt&Road Initiative (la Nuova via della seta, vero incubo per gli USA), l’annosa questione dei diritti umani, il recente accordo Regional Comprehensive Economic Partnership a cui è seguita qualche settimana fa l’intesa tra Cina e UE su un altro dossier chiamato Comprehensive Agreement on Investment che di fatto consente (almeno in teoria) alle aziende dell’UE di entrare nel mercato cinese.
A queste ultime notizie gli apparati di Washington hanno reagito con grande irritazione (per usare un eufemismo), tanto che la lista di personalità e di aziende cinesi in odore di sanzioni si fa sempre più lunga. Se la partita tra la Casa Bianca e Pechino si gioca per terra e per mare dove gli americani hanno comunque una superiorità assoluta, visto che controllano tutti i mari e gli stretti del globo e quindi il passaggio delle merci, è sopra le nostre teste che si gioca una partita complicatissima.
Negli ultimi anni la Repubblica Popolare Cinese ha aumentato in maniera massiccia la propria presenza nello spazio incrementando sia il numero dei satelliti, sia quello delle sonde che si trovano nell’orbita terrestre. Il campanello d’allarme è suonato lo scorso novembre proprio mentre infuriava la battaglia elettorale in America, ovvero quando i cinesi nell’ambito di una missione scientifica utile a recuperare campioni di roccia da analizzare hanno lanciato un razzo della classe Long-March 5 che ha portato sulla Luna la sonda Chang’e-5. Ma non è tutto. In precedenza erano stati lanciati altri due satelliti andati a completare il programma satellitare di terza generazione “BeiDou” (mestolo del nord) un tempo solo militare ma che oggi fornisce servizi GPS nei settori dei trasporti, agricoltura, selvicoltura, pesca, monitoraggio idrologico, previsioni meteorologiche, comunicazioni, energia, soccorso in caso di calamità, sicurezza pubblica e in altri campi ancora. Ma se a Washington si infuriano, a Pechino fanno spallucce perché come ricordato in un recente rapporto del Ce.S.I. (Centro Studi Internazionali) «l’intenzione pacifica dell’esplorazione spaziale» da parte dei cinesi è l’ennesimo tassello che serve allo «sviluppo economico e dell’innovazione tecnico-scientifica, non solo a livello domestico, ma anche globale».
Nulla di nuovo in verità perché nel “Libro bianco” sulle attività spaziali cinesi (l’ultimo nel 2016) erano state delineate le linee guida adottate dal Governo di Pechino nella conquista dello spazio che passa da massicci investimenti nell’industria aeronautica e aerospaziale utili ad avere ritorni politico-economici in termini di “soft power”. Ce lo conferma un documento del 2015 del Consiglio di Stato della Repubblica Popolare Cinese dove leggiamo che «lo spazio deve essere un nuovo dominio della Difesa negli anni a venire e un futuro teatro insieme al cyberspazio nella competizione mondiale tra Stati».
Parole non certo gradite al Pentagono, che in ogni caso è forte del dominio dello spazio grazie ai suoi 1.245 satelliti (su un totale di 2.787) che sono in orbita intorno alla terra, a fronte dei 382 cinesi (i dati sono dell’UCS Satellite Database). Di questi 208 servono a scopi militari e sono sotto il controllo della US Air Force, del Dipartimento della difesa e dell’US Army Space and Missile Defense Command. Per quanto riguarda i satelliti cinesi del “People’s Liberation Army” (PLA), sono 63, mentre gli altri 52 con funzioni di geolocalizzazione gestiti da “BeiDou” sono a doppia funzione, civile e militare. Per colmare il gap è allo studio un partenariato tra lo Stato e alcune aziende private, un po’ come fatto dagli USA e la Space-X di Elon Musk per produrre nuovi veicoli spaziali; nel progetto sarebbero coinvolte numerose aziende (circa 60 e non tutte cinesi) che godono di finanziamenti di giganti come Alibaba Group Holding e Tencent Holdings ed in tal senso nel 2019 la Cina ha lanciato 34 razzi nello spazio che hanno introdotto nell’esosfera un totale di 70 nuove sonde, quasi tutte in funzione di geolocalizzazione e ISR (intelligence, surveillance and reconnaissance). L’attivismo cinese ha fatto scattare l’allarme tra gli apparati americani, tanto che senza fare troppa pubblicità hanno creato sempre nel 2019 all’interno dell’Air Force una nuova sezione denominata US Space Force (USSF), che si occupa esclusivamente della difesa spaziale. Il bilancio? Circa 20 miliardi di dollari solo per il 2021. Se per la Cina la conquista dello spazio è di vitale importanza anche per tentare di diventare una superpotenza globale, per gli Stati Uniti è prioritario mantenere ad ogni costo la superiorità nello spazio. Una partita complessa e pericolosissima, alla quale ogni volta che guardiamo lassù dovremmo pensare.
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