Esercitazioni militari nell’Artico e nel Mare Cinese sullo sfondo di tensioni . Russia e Cina, prove tecniche di una nuova guerra fredda (MDD 14.02.2021)

Non c’è solo la Cina nell’agenda della nuova Amministrazione americana. Dopo quattro anni di sostanziale calma, per la prima volta nella storia l’aeronautica militare degli Stati Uniti sono stati inviati in Norvegia quattro bombardieri B-1 della US Air Force, mentre 200 membri del personale della Dyess Air Force in Texas stanno per arrivare sul suolo norvegese e più precisamente nella base aerea di Orland, vicino a Trondheim. Lì sono da tempo stati dispiegati i caccia “stealth” di quinta generazione Lockheed Martin F-35 Lightning II, che effettueranno missioni nel Circolo Polare Artico ed in particolare nello spazio aereo internazionale al largo della Russia nord-occidentale, da sempre zona di “War Games” tra la NATO e Mosca.

Biden chiede il rilascio di Navalny Provocazione anti-russa o c’è dell’altro? Si tratta, secondo alcuni osservatori, di una sorta di “avviso ai naviganti” per Mosca, che arriva dopo che nel gennaio scorso un caccia dell’aereonautica militare russa ha pericolosamente sorvolato il cacciatorpediniere navale statunitense USS Donald Cook, nelle acque internazionali del Mar Nero. A proposito del neo inquilino della Casa Bianca Joe Biden: anche se ha deciso di rinnovare il trattato nucleare “ New Start”, che scadeva il 5 febbraio 2021, ha già messo in chiaro con Vladimir Putin alcune questioni, ad esempio quella di Aleksei Navalny. Al proposito il Presidente USA ha già manifestato direttamente a Putin, nel corso di una telefonata, la disapprovazione americana per l’ennesima condanna, con la pressante richiesta che l’attivista venga quanto prima scarcerato.

I russi agitano i sonni della NATO Per tornare ai mari dell’Artico, i russi con i loro sommergibili agitano i sonni della NATO dal 2014, quando i radar iniziarono a intercettare i segnali delle navi, dei sottomarini e degli aerei russi non solo nel Mar Baltico ma anche quelli provenienti dal gelido collo di bottiglia che si trova a cavallo dell’Oceano Atlantico e il Mar Artico. È il “GIUK gap“ (acronimo inglese per Greenland, Iceland, United Kingdom, n.d.a), termine utilizzato in ambito militare per indicare quell’area dell’oceano Atlantico settentrionale che forma un punto di sbarramento per la guerra navale. Ora, dopo che la Russia nei quattro anni di Donald Trump ha approfittato in lungo e in largo del suo disinteresse per le questioni geostrategiche, è arrivato il momento per la nuova Amministrazione statunitense di mostrare, fin dai primi passi, un deciso cambio di rotta nelle relazioni internazionali; ivi comprese quelle con il governo di Mosca. Quest’ultimo mira a controllare l’Artico dove passano, oltre che le merci, anche i cavi sottomarini in fibra ottica che connettono le due sponde dell’Atlantico. Con Joe Biden alla Casa Bianca, il surriscaldamento nei rapporti tra Mosca e Washington era atteso. Così l’esercito americano, una volta completato il trasferimento di uomini e mezzi, opererà nel giro di poche settimane nella regione artica che, secondo il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti, è vitale per Mosca: circa il 25% del suo prodotto interno lordo proveniente da idrocarburi si genera a nord del Circolo Polare Artico. La mossa americana serve anche a rassicurare gli alleati nell’area, in particolare norvegesi e svedesi, sempre più intimiditi (e nel caso svedese ossessionati), dagli sconfinamenti russi e da qualsiasi loro potenziale aggressione. Comunque, che qualcosa sarebbe accaduto era nell’aria già durante la fase finale dell’Amministrazione Trump. In tal senso Barbara Barrett, già Segretaria dell’Air Force, aveva dichiarato poco prima del termine del mandato di “The Donald” che “i recenti investimenti russi nell’Artico includono una rete di mezzi aerei offensivi e sistemi missilistici costieri”. Le ha fatto eco qualche giorno fa il Generale Jeff Harrigian, Comandante delle forze aeree statunitensi in Europa e Africa, che a proposito della nuova missione USA ha dichiarato: “La prontezza operativa e la nostra capacità di supportare alleati e partner e rispondere con rapidità è fondamentale per il successo. Apprezziamo la partnership duratura che abbiamo con la Norvegia e non vediamo l’ora di rafforzare la nostra difesa collettiva”.

Mosca avversario storico degli USA Secondo Luciano Tirinnanzi, analista geopolitico, “ le linee guida delle varie Amministrazioni americane nei confronti della Russia sono e restano essenzialmente le medesime, da sempre.Mosca è un avversario storico degli Stati Uniti e questo indipendentemente dalle politiche espresse dai Governi che si succedono al comando in quel di Washington, perché gli interessi dei due Paesi a livello geopolitico non possono coincidere: la vicinanza strategica della Russia all’Europa, e la sua volontà di vincolarsi sempre più al mercato europeo, ne fanno un temibile avversario per gli Usa. Da qui il riposizionamento russo nel Mediterraneo e l’azzardo in Crimea, testa di ponte per nuovi sbocchi commerciali. Quella di Mosca è però una volontà dettata dalla necessità, ovviamente, perché nessun altro mercato consente quei volumi di scambi economici e commerciali come l’Unione Europea. E, come noto, l’economia russa versa in una crisi così preoccupante che nemmeno l’astuzia e la lungimiranza di Vladimir Putin potranno frenare. L’unica speranza per loro è dunque legarsi, oltre che geograficamente, anche politicamente con l’Europa. E questo è possibile solo attraverso relazioni e buoni uffici tra i singoli Stati membri (oltre ad un approccio aggressivo dell’intelligence). Ne è un esempio l’accordo sul gasdotto North Stream tra Russia e Germania, che va avanti nonostante i mal di pancia americani e i dubbi degli Stati baltici e dell’Ucraina. Il Cremlino, inoltre, sa di essere debole e teme giustamente le sanzioni, ma è proprio per questo che Washington le commina. Joe Biden dunque deve solo amministrare una situazione sostanzialmente congelata, interpretando il ruolo di difensore dei diritti civili e di garante della sicurezza e della democrazia in Europa. Senza considerare il ruolo della Nato, che di fatto svolge il ruolo di poliziotto di frontiera a Est”.Ma allora ha ragione chi dice “l’America è tornata”? Dire che “l’America è tornata” è semplicistico e fuorviante. Quando mai se n’è andata? Queste scorciatoie giornalistiche nascondono una mancanza di analisi e approfondimento della realtà statunitense, che è e resta il punto di riferimento mondiale in ogni settore: tecnologico, di sicurezza, dei diritti. In Occidente l’influenza americana è un dato così assodato che viene dato per scontato. Ma cosa accadrebbe se davvero l’America se ne andasse, per restare in metafora? L’Europa si troverebbe nuda e debole, preda di appetiti che non riguardano soltanto la Russia, ma anche la Cina. Ne sa qualcosa l’Ucraina. Esercitazioni non solo nell’Artico, visto che nel Mar cinese meridionale da qualche settimana i gruppi d’attacco di due portaerei della Marina militare degli Stati Uniti, la Uss Theodore Roosevelt e la Uss Nimitz, hanno iniziato una manovra combinata nell’area da tempo teatro di una serie di rivendicazioni territoriali cinesi. Le esercitazioni, le prime svolte congiuntamente dalle due portaerei dal luglio del 2020, arrivano dopo il passaggio del cacciatorpediniere John McCain al largo delle isole Paracelso, la cui sovranità è rivendicata con forza da Pechino. Secondo il Comando delle Forze armate Usa per l’Indo-Pacifico si tratta di ‘una semplice serie di esercitazioni congiunte, tese a incrementare l’interoperabilità tra i sistemi e le capacità di comando e controllo’. Ma i cinesi non hanno gradito.

Una “seconda muraglia” Ad Antonio Selvatici, giornalista e saggista, tra i massimi esperti di questioni cinesi, abbiamo chiesto se nel corso dei prossimi quattro anni le attività aero-navali americane nel Mar cinese meridionale aumenteranno e se esista un rischio concreto che tali attività possano possano portare ad un surriscaldamento del clima tra gli USA e la Cina.  Storicamente le esercitazioni militari congiunte in zone ‘contese’ sono la vetrina di una parte che vuole comunicare all’altra la sua attenzione, la sua presenza, l’affermarsi. Sono prove muscolari, cani che ringhiano mostrando i denti, però, fortunatamente, quasi la totalità delle volte tali azioni dimostrative rimangono tali. Ma il contesto rimane. Il Mar cinese meridionale è un’area molto cara ai cinesi che in pochi anni hanno armato, trasformando alcuni splendidi atolli in basi militari: è sufficiente vedere la straordinaria mutazione forzata di alcuni atolli delle isole Paracel. Naturalmente i vari movimenti ecologisti globali non hanno neppure pensato di protestare quando aeroporti ad uso militare e basi missilistiche hanno deformato e distrutto le incontaminate isole e quando sono state create altre isole artificiali: il solito pacifismo ed ambientalismo di parte, strabico e sinistrorso. Con la militarizzazione forzata delle isole, la Cina ha di fatto costruito una “seconda muraglia” per proteggere quell’immenso spazio marittimo che bagna le coste, quelle su cui, non a caso, s’affacciano i porti più importanti. La Cina detiene la flotta navale più numerosa del globo (numerosa non significa di qualità), ciò dimostra la particolare attenzione al controllo delle vie marittime e delle coste. Lo stretto di Taiwan è costantemente super sorvegliato e la strategica Via della Seta è sopratutto l’occasione per costruire basi navali militari al di fuori dei confini. Non solo Gibuti, ma anche Gwadar ed altre che presto arriveranno. La Cina ha bisogno di controllare le vie marittime: in quanto Paese industrializzato, energivoro, ma con una produzione interna d’energia insufficiente, è costretta ad importare via nave grandi quantità di petrolio dal Golfo. La Cina è un Paese che esporta una grande quantità di merce: navi mercantili stipate di container si dirigono verso ovest. Insomma, le via d’acqua sono le autostrade su cui transita buona parte dell’economia cinese. È quindi logico che Pechino si stia impegnando sempre più, anche militarmente, per difendere le autostrade marittime da cui dipende la sopravvivenza economica del Paese. La postura del Paese del Dragone sarà sempre più prepotente e aggressiva, in quanto si sta velocemente armando e sta ampliando (imponendo) la propria sfera d’influenza. Non meravigliamoci se assisteremo a limitate scaramucce navali”.

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