Violenza jihadista senza freni in Africa. Nel 2020 4.958 atti violenti mentre il 2021 si annuncia peggiore.

Nel 2020 la violenza jihadista che insanguina l’Africa ha fatto registrare cifre da record in un trend che dal 2016 è in drammatica e costante crescita. Gli episodi di violenza sono stati 4.958 (+ 43% rispetto al 2019) commessi da Al Qaeda e dallo Stato Islamico che agiscono attraverso i loro gruppi locali attivi nel continente. Atti che hanno causato secondo il centro studi del Pentagono “Africa Center for Strategic Studies” (ACSS), 13.059 morti dei quali 4.333 in piu’ rispetto al 2019. Al Qaeda e Isis operano principalmente in cinque areee, ciascuno delle quali con attori e modalità distinte: Somalia, Sahel, Bacino del Lago Ciad, Mozambico ed Egitto. Tutti tranne l’Egitto hanno registrato un marcato aumento della violenza nel 2020. Secondo l’ACSS la minaccia jihadista in Africa che ha visto un +60% degli attacchi alle forze di sicurezza e un +29% di attacchi contro la popolazione civile inerme con aumenti concentrati nel nord del Mozambico, nel bacino del Lago Ciad e nel Sahel,  “dimostra la crescita sostenuta della capacità” di questi gruppi in tutti gli scenari negli ultimi anni e sottolinea non solo “la loro volontà di attaccare la sicurezza dello Stato costringe “ma anche la loro crescente sofisticazione a sfruttare fonti di reddito nel contesto di ciò che spesso equivale ad attività di criminalità organizzata“. con aumenti concentrati nel nord del Mozambico, nel bacino del Lago Ciad e nel Sahel.

In Somalia

Qui nel 2020 si è registrato un aumento del 33% degli attacchi che vedono protagonisti gli al Shabaab ( Al Qaeda) . Si è infatti passati da 1.310 eventi a 1.742, numeri che mostrano come il gruppo islamista più radicato dell’Africa, nonostante le operazioni di contrasto messe a segno dal Pentagono con i droni, e dall’esercito somalo, rimane pericolosissimo e resti una minaccia costante per quel che resta della martoriata Somalia. L’aumento del 47% delle battaglie tra gli al Shabaab e le forze di sicurezza coincide con la volontà di boicottare le elezioni politiche previste per il 2021 (si voterà in 13 Paesi dell’Africa), andando a fomentare le tensioni esistenti tra le forze degli stati membri nazionali e quelli federali. Occorre pero’ registrare come l’attività degli al Shabaab sia diminuita rispetto a quella di altri teatri del continente. La Somalia infatti oggi “rappresenta circa il 35% di tutti gli eventi di gruppi islamici militanti in Africa, rispetto a una media del 50% nell’ultimo decennio”. A tal proposito si registra una diminuzione delle vittime legate ad al Shabaab che sono passate nel 2020, da 2.763 a 2.369. Si tratta del 18% di tutte le vittime causate dai gruppi islamici militanti in Africa.

 Nel Sahel

Drammatica la situazione nel Mali, Burkina Faso e Niger occidentale con i 1.170 atti violenti del 2020 anno dove si registra un + 44% rispetto al 2019. Un vortice di violenza messo in atto dai gruppi jihadisti e che continua  ad aumentare ininterrottamente dal 2015 a causa delle operazioni del “Fronte di liberazione di Macina” (FLM) affilatosi ad Al Qaeda e i miliziani dello “Stato islamico del Grande Sahara” (ISGS) entrambi responsabili di quesi tutte le violenze nel Sahel. Il Fronte di liberazione di Macina è di fatto una sorta di federazione di gruppi legati  ad al Qaeda nel Maghreb islamico denominato Jama’at Nusrat al Islam wal Muslimin (JNIM) . Tornando ai numeri della furia jihadista le vittime sono state 4.122 nel 2020 (+57% del 2019). I morti in battaglia sono stati 2.902  e si tratta del 70% delle vittime totali, un dato che mostra in maniera chiara l’aumento esponenziale degli scontri che avvengono sul campo ormai quotidianamente tra le forze di sicurezza nazionali e quelle regionali. Altro dato rilevante registrato dal Africa Center for Strategic Studies” è che il 21% degli scontri armati sono stati tra gli affiliati JNIM e ISGS per il controllo del territorio, per i vari business legati al contrabbando di armi, droga, al traffico di esseri umani e al reclutamento di nuovi affiliati che non di certo non mancano mai. Gli scontri armati e la violenza jihadista nel Sahel hanno portato “allo sfollamento di circa 1,7 milioni di persone, tra cui oltre 170.000 rifugiati e 1,5 milioni di sfollati interni” con il Burkina Faso a guidare la triste classifica con 1,1 milioni di sfollati senza contare le 3 milioni persone tra il Mali e il Burkina Faso, alle prese con la mancanza di cibo.

 Nigeria, Camerun, Ciad e il Niger Sud-Orientale 

Il bacino del lago Ciad è stato anch’esso travolto dalla furia degli islamisti di Boko Haram e dai suoi affiliati dello lo Stato islamico in Africa occidentale (ISWA) che hanno provocato 1.223 attacchi contro i 766 nel 2019 (+60%). L’ondata di violenza causata da due gruppi, Boko Haram e gli affiliati dello Stato islamico in Africa occidentale (ISWA), hanno causato la morte di 4.801 morti. Qui si registra il più alto numero di vittime legate a gruppi islamici militanti in Africa (+45% rispetto al 2019). Le battaglie attorno al bacino del lago Ciad “hanno rappresentato il 59% di tutte le vittime del 2020”. L’aumento del 73% tra i gruppi jihadisti e le forze di sicurezza dello stato e le milizie allineate ad esse rappresentano “il 46% di tutte le attività violente legate alla violenza militante islamista nel teatro. Gli attacchi contro i civili hanno visto un aumento del 32%, rappresentando il 37% delle attività violente legate a questi gruppi”. Il Nord della Nigeria dove è nato e dove agisce Boko Haram (l’istruzione occidentale è proibita) resta il piu’ importante centro dell’attività dei gruppi militanti islamici con piu’ più della metà degli eventi riportati nel 2020 mentre il Camerun ha visto un terzo di tutte le attività violente avvenute nel bacino del lago Ciad.

In Mozambico

Per descrivere quanto accade in Mozambico basta un dato: Il numero degli atti violenti segnalati legati a gruppi islamici militanti nella provincia di Cabo Delgado (nord del Mozambico), è aumentato del 129% nel 2020. In Mozambico oltre due terzi di questi eventi hanno preso di mira i civili. Altro numero impressionante è quello dei morti: 1.600 con un balzo del 169% rispetto al 2019 . I fattori alla base della violenza in Mozambico dove i giacimenti nel Bacino del Rovuma sono tra i più importanti al mondo e dove le multinazionali petrolifere hanno investito circa 47 miliardi di euro ( Total e Eni in particolare),  sono di difficile comprensione e rimangono avvolti nel mistero. Certo è che quanto accade porta la firma del gruppo salafita “Ahlu Sunnah wa Jama’a” (ASWJ), o “al Shabaab”, un nome che non deve ingannare visto che non esistono relazioni ufficiali con il gruppo somalo. Altra informazione utile è che ASWJ nonostante faccia parte della filiera dello Stato islamico (ISIS), porta avanti rivendicazioni esclusivamente locali tanto che i reali collegamenti con l’ISIS sono oggetto di molti dubbi. Numeri drammatici che descrivono come l’Africa debba affrontare oltre ai mille problemi che già l’affliggono, anche la piaga del jihadismo e la sensazione è che non bastino le operazioni militari come quella francese denominata “Barkhane” (già “Serval”) iniziata nel 2012 e che è diventata sempre piu’ scomoda e costosa anche per l’opinione pubblica francese. Nessuno è in grado di immaginare cosa accadrebbe se i francesi decidessero di lasciare l’Africa come da tempo si ventila a Parigi.

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